Un raccontino su “La suprema inchiesta”
Lo (pseudo)romanzo “La suprema inchiesta” è uscito il 7 aprile per il Saggiatore. Qui di seguito, una sua breve sintesi e il “Raccontino di un romanzo” che ne chiarisce la genesi e alcune caratteristiche.
Una breve sintesi
All’inizio, sembra tutto chiaro. C’è un’investigatrice, Livia Bianchi, che deve indagare sulla morte di una escort romana, assassinata vicino a Palazzo Grazioli. C’è suo marito, Angelo Consani, che cerca finanziamenti per il suo progetto di una Nuova Città Ideale. Ci sono i loro figli, Lorenzo e Giovanna, che fanno quello che fanno più o meno tutti gli adolescenti e i bambini della loro età. Siamo nel 2010 e tutto è scontato, lineare, generico.
Ma poco alla volta cominciano a comparire figure che sembrano evocate in un rito sciamanico: personaggi reali o d’invenzione introducono frammenti di storie impreviste, incoerenti, sempre più lontane dalle linee narrative iniziali. Il racconto cambia di continuo, da realistico a fantastico; i tempi, anche quelli verbali, collassano, tanto che spesso si perdono i confini tra quanto accade nel passato, nel presente o nel futuro. L’inchiesta vera, quella che si potrebbe considerare definitiva o suprema, comincia così, ed è allora il lettore che deve porsi in gioco, tentare di riconnettere i pezzetti che, capitolo dopo capitolo, si ritrova a scoprire inaspettatamente.
E non solo nel testo scritto. La suprema inchiesta convoca l’extra-testo, o lo inventa: dipinti di Monet o di Kiefer, un gesto di Glenn Gould che esegue la partita 6 di Bach, una Donna-Angelo nella Fontana di Trevi, un’entità strana che dice di essere la Completezza, un’onda azzurrognola che compare su uno sfondo ultra-nero… E c’è un intero video che costituisce il correlativo visivo di come è nata quest’opera nella mente dell’autore.
Si procede così, per tentativi e fallimenti. È il destino di ogni quête: anche noi cerchiamo solo quanto ci sembra supremo, ma non arriviamo ad altro che a cercare. Alla fine, questo libro è un resoconto grottesco e sublime delle nostre ricerche.
Alberto Casadei
Raccontino di un romanzo
Quando ho iniziato a ideare La suprema inchiesta, lo pseudo-romanzo pubblicato dal Saggiatore (2023), era la fine del 2011 e, per molti segnali, sembrava che gli eventi storici stessero conducendo a una svolta. Le proteste degli indignados e dei movimenti di Occupy Wall Street si andavano diffondendo nel mondo, le rivolte producevano cambi di governo in molti Stati, in Italia il potere berlusconiano si avviava al capolinea, peraltro nel mezzo di una situazione che appariva catastrofica. Io volevo descrivere tutto questo quasi in contemporanea, ma sfruttando il codice della narrativa poliziesca per ottenere un distanziamento ironico: si trattava di parlare di quell’attualità come se fosse già lontana, percepita come una serie di echi mentre veniva condotta un’inchiesta su un efferato delitto, quello della escort Bella di Rodi avvenuto a poca distanza da Palazzo Grazioli a Roma. Un procedimento forse un po’ alla Eco, che comunque doveva condurre progressivamente il lettore in territori imprevisti grazie all’incontro con personaggi di molti tempi storici, in apparenza (e magari in effetti) del tutto incongrui rispetto a questa indagine principale, ma invece a essa legati con fili sottili e tuttavia resistenti.
Poco alla volta però questo schema è risultato sin troppo prevedibile, e d’altra parte l’attualità si è ben presto trasformata in cronaca e poi è stata azzerata nelle comunicazioni mass-mediatiche: persino i tanti siti dei giovani ribelli non venivano più aggiornati e altre urgenze emergevano, inevitabilmente. Io poi mi stavo occupando, per le mie ricerche, di come la biologia e la corporeità interagissero nella creatività umana, in particolare in quella artistica e letteraria, e cominciai a pensare anche ad altre figure da introdurre nel simil-romanzo, ognuna con la sua propria quête: all’investigatrice Livia Bianchi decisi di affiancare suo marito, l’architetto Angelo Consani, che per molti aspetti doveva reincarnare la figura dell’inetto e che peraltro voleva progettare e costruire addirittura una Nuova Città Ideale. Poi ecco ancora i loro figli, Lorenzo e Giovanna. Il primo lo immaginavo come un adolescente impacciato e insoddisfatto che però lancia un blog, gli Akkontentati, e tramite quello conosce un’attivista, Ceci, con la quale s’impegna almeno virtualmente nelle rivolte; la seconda doveva essere una bambina di una decina d’anni, che comincia a conoscere il mondo tramite nozioni basilari ma nello stesso tempo può addirittura realizzare disegni simili a dipinti di Monet e di Klee, appunto sfruttando capacità creative profonde e costanti negli esseri umani. Personaggi, quindi, in qualche misura rappresentativi di fasi della vita, forse sottilmente allegorici, comunque immersi in cronotopi di continuo variati: credo sia ormai giusto proporre una narrazione frastagliata e piuttosto incoerente, unica forma simbolica adeguata alla nostra concezione del reale. L’alternarsi delle vicende principali si doveva interrompere per l’irruzione di altre, emerse come risultati imprevisti di una ricerca nella Rete, nuovo rito tecnologico- sciamanico.
I problemi concreti in ogni caso erano ancora parecchi. Infatti la struttura è diventata sempre più complessa e mi ci sono voluti oltre dieci anni per venirne a capo. Ho ragionato a lungo su alcuni aspetti fondamentali, specie quello del montaggio delle vicende, confrontandomi con modelli come Underworld di Don DeLillo, Cloud Atlas di David Mitchell (nonché film firmato Wachowski) e più di recente The Overstory di Richard Powers, che mi sono stati preziosi. Ma non poteva mancare almeno l’impronta di alcune opere che restano fondative persino nel pieno dell’evoluzione artistica che si sta realizzando con il Web, per esempio la Divina commedia, il Pasticciaccio o l’Ulisse, che in molti punti costituiscono ipotesti indispensabili per capire il senso di episodi un po’ oscuri. (Inutile aggiungere che questo retroterra non garantisce nulla riguardo all’esito: qui fornisco solo delle coordinate per la navigazione, in maniera del tutto neutra sul piano del valore).
Di fatto, l’attualità che era diventata passato si è per me riattivata attraverso il confronto a distanza con testi della ‘tradizione’ che hanno in qualche modo affrontato problemi analoghi, ma mi è apparso necessario pure un lavorio sul versante del visuale, di cui ogni scrittura è adesso impregnata. Ne è scaturita una sequenza di immagini che a volte completano la scrittura, a volte sembrano aggiungere una valenza di secondo grado: per esempio una foto di orme di esseri umani preistorici o un’altra della Dusty Lady scampata al crollo delle Twin Towers costituiscono come dei piccoli emblemi o dei punti di connessione delle tante storie che altrimenti potrebbero risultare scollegate. E non è un caso che, nella prima parte, le immagini decisive siano solo tre, dipinti che vanno dalla rappresentazione della natura a quella dell’io e a quella della storia, ma sempre in forme inquiete e da indagare. Le trentadue riproduzioni e il video iniziale (su cui tornerò) costituiscono insomma non un’aggiunta esteriore, ma un percorso verso l’interiorità e l’incubazione inconscia che stanno prima della e poi dentro la scrittura.
Il mio ‘oggetto narrativo non identificato’ avrebbe persino potuto trasformarsi in un e-book arricchito, con interazioni forti tra scrittura, immagini, persino musica e video: a metà del guado, vedevo la necessità di non focalizzare tutto lo sforzo creativo solo verso la compiutezza di un libro, e di aprire invece la forma-romanzo ai tanti aspetti della biologia umana che si adattano con sorprendente rapidità a nuovi ambienti e a nuovi mezzi, per esempio quelli integrati della Rete. In effetti però anche un e-book non sarebbe stato sufficiente, e quindi ho puntato sull’apertura dentro al testo, aumentando progressivamente le vicende incongrue, i tempi non coordinati addirittura all’interno dei singoli periodi, la commistione tra voci dei personaggi e voce narrativa a-temporale, nonché le immagini dalle molteplici implicazioni.
Ecco perché è nata la definizione-formula di romanzo-cloud. Ho ripreso alcune idee espresse nel finale di Biologia della letteratura (il mio saggio teorico pubblicato nel 2018) e ho cercato di collegare in modi dinamici le scene di storia o gli episodi fantastici che costellano la trama: non nessi espliciti, come avviene all’inizio, ma coordinamenti weird come quelli che si creano nelle nuvole, composte di pieni e di vuoti, di interazioni e di allontanamenti, di particelle irrelate o fuse. In effetti ci sono molte sconnessioni in questo racconto, che sarebbero da risolvere magari creando un percorso ulteriore, partendo dal testo per navigare in uno spazio virtuale, metaverso o iper-romanzo che sia. Intanto, è il lettore che deve spostare di continuo il suo baricentro per riassestare lo sguardo, quasi che si trovasse di fronte al famoso mare di nebbia: un’altra nuvola quindi, ma di eventi caotici che rivelano legami solo a chi li guarda senza schemi mentali precostituiti. E qui si coglie forse la principale differenza rispetto a quanto sintetizzava già Italo Calvino nella sua lezione sulla Molteplicità: dopo i tanti romanzi basati sull’ambizione enciclopedica, sull’accumulo caotico e sulla necessità di conoscere tutte le concause, e persino dopo le aspirazioni massimaliste ed epiche 2.0 recenti o recentissime, adesso forse quello che il romanziere può fare, puntando ancora a una rappresentazione (semi)seria del quotidiano, è suggerire connessioni inaspettate persino usando gli algoritmi dell’AI, magari fra tempi-eventi-personaggi che non sono e non dovrebbero essere in contatto fra loro e invece, come nei moti caotici di una nube, si aggregano per creare un’entità diversa, una storia strana, una delicata e transitoria chimera.
Alla fine, la suprema inchiesta è diventata l’intera compagine di questo oggetto narrativo, nel quale convivono aspetti volutamente banali (che però magari tra non molto non sembreranno più tali) e altri misteriosi o sublimi (che però sono senz’altro destinati a diventare comici). Il tema della giustizia e quello della morte, da sempre al centro delle grandi narrazioni, si rivelano decisivi, specie nei capitoli finali, ma di certo non conducono a scoperte clamorose bensì solo alla constatazione di quanto ogni essere umano sia impastato, senza nemmeno accorgersene, di frammenti di una vita ben più complessa e occulta rispetto a quella che sente di vivere. Come se si arrivasse, dopo un tragitto da punto a punto, in un hub dove sono finiti, almeno provvisoriamente, tanti altri tragitti analoghi: e su questa convergenza occorre interrogarsi, seguendo l’autentica idea-mito del nostro tempo, la Completezza.
Se da un lato, insomma, questo romanzo-cloud vorrebbe contenere una rappresentazione semiseria del quotidiano, citando e mimando la storia dell’inizio del terzo millennio, dall’altro allegorizza quel poco che sappiamo della lunga durata, che sia fisica o meta-fisica. E per dar meglio conto dell’intera ideazione, nata quasi per caso e poi lungamente plasmata e alla fine raccolta in quest’oggetto (complicato ma pur sempre limitato), ho pensato fosse indispensabile fornire un correlativo visivo che ne costituisse una sorta di arabesco o magari di frattale, e nel contempo aprisse il percorso per immagini che si svolge all’interno del testo. È nato così, dopo il libro, anche il video La suprema inchiesta, che ho realizzato con l’artista Ilaria Mai: chi vuole, lo può guardare come una sorta di antefatto o di ouverture (è reperibile nel sito dell’editore e nei social). In apertura, da uno sfondo indistinto, emergono alcuni elementi che si riveleranno decisivi nel testo, il cui inizio è citato per iscritto, mentre un’altra frase da me letta risuona più avanti, quasi fosse un’eco lontana. Un’immagine di Liliana Balducci, incarnata da Valeria Occhini nel Pasticciaccio di Gadda messo in scena da Luca Ronconi e filmato da Giuseppe Bertolucci, segnala l’antecedente letterario di Bella di Rodi, lei pure uccisa del tutto ingiustamente. Un gesto di Glenn Gould, che esegue la Toccata dalla Partita BWV 830 di Bach, rende concreto il passaggio dall’ideazione all’attuazione di un’opera d’arte. Alcune note del lamento di Didone, dal Dido and Aeneas di Purcell, accompagnano immagini di rivolte ma anche altre relative al crollo delle Twin Towers: compare la foto della Dusty Lady, scattata da Stan Honda. Nel finale, un individuo si ferma a osservare questo insieme grandioso e incoerente, quasi un nuovo ‘viandante sopra il mare di nebbia’: ma la nebbia è ormai costituita da un pulviscolo di eventi e informazioni, che aspirerebbero a un senso. Questo, inevitabilmente, resta incognito: a livello simbolico, si potrebbe trovare nell’onda azzurra che, sulla base di un esperimento scientifico (Blue death) effettuato negli anni Dieci del XXI secolo, indicherebbe l’improvvisa fuga della vita da un essere vivente.
Sull’immagine di quest’onda si chiudono il video e il libro, mentre rimane aperta ogni nostra suprema o infima inchiesta.