Dante e Mantova
Dante e Mantova
Fra i risultati più importanti delle celebrazioni dantesche del 2021 si conteranno senz’altro le mostre scientifiche e i volumi che ripercorrono i rapporti certi o presunti del poeta con una o più città italiane. Tra i cataloghi delle mostre che, nonostante la pandemia, si sono potute aprire, segnaliamo qui Dante e la cultura del Trecento a Mantova (Museo di Palazzo Ducale, 15 ottobre 2021-9 gennaio 2022), a cura di Stefano L’Occaso (Mantova, Editoriale Sometti, 2021). Oltre a una Presentazione di Maria Ida Gaeta e a un’Introduzione del curatore, il volume contiene interventi di specialisti quali Giuseppe Gardoni, Andrea Canova, Roberta Benedusi e lo stesso L’Occaso, nonché un apparato di riproduzioni di manoscritti, stampe, miniature e opere pittoriche (pp. 187-220) con la relativa Bibliografia. L’insieme si presenta di alta qualità.
Quanto ai materiali utili alla critica dantesca, non emergono peraltro specifiche acquisizioni, benché si faccia chiarezza soprattutto su vari aspetti della fortuna del poeta nella città lombarda, per esempio riguardo alla presenza di suoi discendenti come Dante III (cfr. p. 180). Forse sarebbe stato utile, da questa angolatura, ricordare che proprio transitando da Mantova Francesco da Barberino ha modo di menzionare nei suoi Documenti d’amore il poema di Dante in fieri, in un periodo compreso tra il 1313 e il 1314: precisazioni su questo importantissimo dato sarebbero davvero decisive per capire meglio i tempi della diffusione almeno dell’Inferno.
Sulla disputa riguardo all’autenticità della Questio intervengono sommariamente Canova (pp. 55-56) e Gardoni (pp. 178-181), citando alcune voci della bibliografia specifica e pronunciandosi con cautela a favore dell’autenticità. Tuttavia in questo caso sarebbe stato forse opportuno citare più ampiamente gli elementi che, per esempio, rendono assai incongruente il fatto che una disputa iniziata a Mantova (in quale circostanza e con quale uditorio?) venga poi determinata a Verona in tutt’altro contesto e con tutt’altro pubblico: e si sa che il primo editore del trattatello, l’agostiniano Giovanni Benedetto Moncetti, era legatissimo ai Gonzaga e non avrebbe avuto certo scrupoli a sostituire un “existente me Verone” (che renderebbe il testo molto meno incoerente) del manoscritto con un “existente me Mantue” per omaggiarli, adeguandosi a una prassi encomiastica diffusa nel primo Cinquecento. Inoltre, andavano citati molti altri argomenti interni all’opera dantesca che fanno pensare a un testo apocrifo, confezionato sulla base di un trattatello preesistente grosso modo alla fine degli anni Cinquanta del XIV secolo, periodo in cui effettivamente esso comincia a circolare.