Ermanno Cavazzoni, “Storie vere e verissime”
Una recensione, uscita su TTL del 12 ottobre 2019, a
Ermanno Cavazzoni, Storie vere e verissime, La Nave di Teseo, 2019, pp. 221
Leggere i testi di Ermanno Cavazzoni è un po’ come seguire delle dimostrazioni per assurdo: si comincia a porre un caso, ricavato da fatti sicuri o da credenze diffuse, e a poco a poco si devono constatare le implicazioni sempre più bizzarre se lo si accetta senza il dovuto accertamento critico. Queste Storie vere e verissime, che si collocano in ideale continuità con Il pensatore solitario (2015), vogliono indagare la “semplice e limpida realtà raccontata realisticamente”, solo che non lo fanno con i mezzi che di solito consideriamo tipici del realismo, a cominciare dalla necessità della verosimiglianza; lo fanno invece con gli strumenti del comico, specialmente quello stralunato del cinema muto alla Buster Keaton.
Ora, usare i reagenti della comicità, nei suoi multiformi aspetti, per far risaltare i presupposti del mondo in cui viviamo, è operazione ormai tradizionale: per l’epoca moderna si può senz’altro risalire a Jonathan Swift, che sembra un buon modello per Cavazzoni, ma è facile individuare una larga costellazione, comprendente le operette morali di Leopardi, gli aforismi di Karl Kraus, le scritture grottesche di Günter Grass e così via. Qual è quindi la cifra specifica di questa nuova raccolta di narrazioni più o meno brevi?
Per arrivare a definirla, cerchiamo di approntare un piccolo catalogo dei temi affrontati. Si comincia con una mini autobiografia, Perché non ho fatto carriera politica, che chiarisce i motivi per cui il giovane Cavazzoni si sentiva in obbligo di far parte dei militanti comunisti e perché è risultato inadatto all’impegno: una parabola istruttiva che stigmatizza soprattutto il problema ormai evidente della distanza fra le teorizzazioni generali, ma astratte, e il piccolo cabotaggio della vita concreta. Su questa linea si possono inserire sia altri ricordi preziosi, come quelli delle avventure con Gianni Celati, sia occasioni recenti o recentissime, come quella di Turismo postmoderno: da una gitarella sui laghi di Mantova s’imparano molte cose sul razzismo strisciante, sulle paure ataviche, sui piccoli paradisi che ci costruiamo e sulle pretese del godimento sempre e in ogni luogo.
Altri racconti o apologhi riguardano invece le illusioni o le speranze più antiche, a cominciare da quella del Paradiso: è un tema trasversale e inter-religioso, dato che a risultati stravaganti si arriva tanto per l’Aldilà cristiano, praticamente vacuo e paralizzato, quanto per quello mussulmano, dove il fedele martire diventerebbe una specie di macchina da sesso coatto. Ma una larga messe di considerazioni inaspettate tocca pure il nostro approccio alle opere d’arte, moderne reliquie, oppure le fallaci aspettative nei confronti della politica fatta ‘dal basso’: leggiamo Grandi timonieri e capiamo subito cosa ci può succedere se saliamo sull’autobus privo di autista, perché mandato via con un referendum in quanto “connivente con un tour operator dalla mascella sporgente”. E si può proseguire con Fine ultima dei dittatori per un supplemento di (irregolarissima) lezione.
Non sono poche infine le pagine dedicate ai destini di grandi uomini (Foscolo, Gogol, Pascoli…), alle parole dette in punto di morte, in generale al ‘senso della fine’, ma non ci si stupisce, perché è risaputo che dietro ogni buon umorista si cela un malinconico all’ultimo stadio. Ma, per tirare le somme, la cifra di Cavazzoni è forse questa: la sua disamina si esercita in modo esagerato e puntiglioso perché, riguardo alla vita, svanisca ogni ipotesi di senso troppo facile. In tanti suoi testi vengono convocati i freak di ogni tipo, dai lunatici che, dal 1990, legano indissolubilmente Cavazzoni a Fellini, sino ai giganti e ai dementi, in modo da fornire prospettive inedite: purtroppo persino gli alieni qui deludono, arrivano sulla terra e se ne vanno senza aver combinato niente. Allora bisogna ribadire che, per l’autore che si espone in prima persona in queste nuove storie, la vita è “solo una vecchia comica”, ma ormai, anziché lo stupore del lunatico, prevale l’impegno ad andare sino in fondo nel ‘comicizzare’ il mondo: l’unico rimedio per capirci qualcosa.