Su “Tutte le poesie” di Elio Pagliarani (il Saggiatore)
Una recensione apparsa su TTL – La Stampa
Non solo “romanzi in versi”. Dalla nuova e definitiva edizione di Tutte le poesie di Elio Pagliarani, approntata da uno specialista quale Andrea Cortellessa (encomiabile lo sforzo anche per l’ardua impaginazione), emerge un profilo variegato, da sperimentatore in tutti i generi della poesia successiva alla fine della Seconda guerra mondiale. Lo spartiacque non è solo simbolico: da tanti testi dispersi e da appunti dell’autore si comprende che la fase del dopoguerra impose un imprinting non più eliminabile al giovane appena ventenne (era nato nel 1927 a Viserba di Rimini), oltretutto spinto a procacciarsi il pane nel caotico e aggressivo mondo industriale milanese. È stato l’arrivo in una città davvero da neorealismo, o forse ancora rappresentabile alla Dickens o alla Zola, a segnare l’immaginario di un adolescente che arrivava da una Romagna espansiva e socialista, a suo modo accogliente ma troppo povera.
E così Elio affronta le prove di chi non ha ancora deciso da che parte stare, vuole prima di tutto guadagnarsi una dignità che coincide con il possesso, la merce, l’oro, parole-chiave in tutte le sue opere, ben al di là delle ovvie connotazioni politiche e marxiste. Prima del suo più celebre personaggio, la ragazza Carla Dondi, è lui a essere impiegato, tra il ’47 e il ’48, in una ditta di import-export in piazza del Duomo, pendolare tra il rinnovato centro del potere e le periferie proletarie. La durezza della vita materiale non mancherà mai nella scrittura di Pagliarani, non potrà essere mai evocata con sperimentalismi di secondo grado. La sperimentazione, nei suoi testi, si realizza attraverso un costante approssimarsi al cuore di tenebra dell’esistenza, soprattutto grazie alla testimonianza di molte voci diverse, in una polifonia che certo risente di modelli narrativi canonici, dai Malavoglia all’Assommoir sino al Pasticciaccio. I pensieri, le voci, i punti di vista attribuibili ai personaggi, oppure lasciati fluttuare, certificano comunque che non di un’esperienza lirica ossia singola si tratta, bensì di una coralità che si esprime attraverso un cantore.
E tuttavia, lungo tutta la sua produzione Pagliarani adotta pure versi di una nettezza quasi aforistica, ricercati come contrappunto a quelli ‘smisurati’ (sino a quaranta sillabe!): è così che, per esempio negli Esercizi platonici (1985), si trovano alcune massime che costituiscono quasi indicatori di un metodo. Se si legge: “Alla verità, quale piacere sarà più corrispondente?” (p. 257), sappiamo che si è cercata e si cerca una verità nella formidabile tensione a ottenere denaro o amore o potere, raggiunti o persi in tutti i modi (ma non piaceri) praticabili appunto nella società italiana postbellica.
Dietro tutte le voci restano quindi alcuni filamenti di una voce: ma, nonostante le apparenze didascaliche, a volte i moralismi, quella di Pagliarani non è la parola di un censore satirico. Le parabole dei suoi personaggi ci possono sembrare persino opportunistiche, ma la ricostruzione di una dignità avviene proprio dopo che si è osservata la delusione e l’insignificanza di vite limitate alla conquista di un benessere.
I due poemetti più famosi, La ragazza Carla e La ballata di Rudi, dalla complessa e, nel secondo caso, lunghissima gestazione, vanno allora letti assieme, parti di un disegno che, partendo dal 1946, conduce a esiti sfrangiati, come quello del vitellone Rudi che, a suo agio nelle balere romagnole, si ritrova a morire ricco e isolato in Svizzera. Il tema di fondo è in effetti unico, il disperdersi delle esistenze dentro il contesto del boom economico. E certo in questa visione sono forti le affinità con Pasolini, per lungo tempo fratello maggiore in rotta di collisione, ma alla fine riconosciuto come primo degli interlocutori, peraltro assieme a Fortini, Balestrini, i Novissimi e non pochi protagonisti degli anni Sessanta e Settanta.
Ma se esiste una possibilità di riallineare queste poesie, il cui montaggio tanto deve alle tecniche di cinema e teatro (anche recitativo), questa forse va trovata seguendo i punti che svelano un bisogno incoercibile di integrità oltre la mimesi delle alienazioni. Ecco per esempio la verità di un personaggio decisamente minore, ma non per questo meno rappresentativo: è l’anziana Camilla, che viene convinta a giocare in borsa, e così non sa più quando e come ha sbagliato, se prima a non rischiare mai o adesso a volere sempre di più. Il suo rovello è quello di Pagliarani: non si trova mai un senso compiuto per “la vita intera”.