Ariosto 2016
Il 2016 si annuncia come un anno ricco di eventi dedicati ad Ariosto, in occasione del cinquecentesimo anniversario della pubblicazione dell’Orlando furioso. Qui di seguito un brano tratto dal nuovo libro di Alberto Casadei Ariosto: i metodi e i mondi possibili, in uscita presso Marsilio.
Gli studi raccolti nel volume mirano ad alcuni accertamenti sull’opera ariostesca nel suo complesso, magari a partire da dettagli che permettono di specificare qualche caratteristica della sua inventio oltre che della sua elocutio. L’obiettivo è in ogni caso quello di giungere a una più esatta collocazione in particolare del Furioso, tenendo uniti tratti che sono spesso sembrati antitetici, a cominciare dalla dialettica fra classicizzazione-armonia formale e dissonanze contenutistiche. Occorre modificare il punto di vista per cogliere meglio i possibili legami fra fenomeni in apparenza non complanari: la categoria di ‘mondo possibile’, depurata dagli eccessi di formalismo logico o narratologico, può essere impiegata per descrivere l’universo del poema, fantasioso ma delimitato dalla storia e dall’etica; ricco di conflitti ma impregnato di un desiderio di composizione; ironico fino al paradosso e all’incongruenza ma stilisticamente euritmico. Il rapporto di questo mondo possibile con gli altri creati nel primo Cinquecento diventa allora un sintomo delle tante sfumature che si devono cogliere in un’area artistico-letteraria che non pratica solo un classicismo antiquario, né un edonismo autoriflessivo, né un culto dell’armonia simmetrica: soprattutto il Furioso testimonia l’importanza dell’accettazione della varietà del reale così come della varietas delle soluzioni formali, che devono essere incorporate in un universo letterario multiverso e insieme coerente.
Questa prospettiva, cognitivamente ricca perché in grado di ricomporre tasselli sparsi, deve essere implementata grazie a precisi sondaggi, in particolare di semantica storica, per non ripetere alcuni luoghi comuni derivati dalle varie ideologie del Rinascimento italiano o europeo che si sono succedute almeno dal secondo Ottocento. Facendo tesoro di un suggerimento ricavabile da Filologia della letteratura mondiale (Philologie der Weltliteratur, 1952) di Erich Auerbach, si possono individuare case studies più circoscritti ma ugualmente rappresentativi, magari perché utili a testare l’efficacia delle ‘idee di Rinascimento’ circolanti nella comunità scientifica. Per esempio, è lecito esportare dall’ambito etico a quello letterario l’analisi dei cambiamenti semantici del termine curiositas, sin da Agostino attinente alla sfera della conoscenza sregolata se non della volontà maligna di sapere per nuocere, ma ovviamente va evitato l’errore, rintracciabile in The Swerve di Stephen Greenblatt (2011; trad. it. Il manoscritto, Milano, Rizzoli, 2011), di ignorare che la cultura cristiana possedeva un termine ben preciso per la volontà di conoscere buona e giusta, ossia studiositas. In ogni caso, per un interprete barbaro ma non privo d’ingegno della cultura italiana primocinquecentesca, Erasmo da Rotterdam, la curiositas è diventata una cifra tipica degli studi e delle arti, sebbene per lui da distinguere in pia e impia: si potrebbe perciò porre l’ipotesi di lavoro che uno degli elementi in grado di far discriminare, nelle microvariazioni della semantica storica, la componente umanistica cristiano-medievale da quella rinascimentale-moderna è appunto il credito assegnato allo studio libero e non finalizzato, ossia alla curiositas in quanto Streben verso la realizzazione di sé.
Un termine come curiositas può ben rappresentare alcuni vettori (nella narrazione, nei comportamenti dei personaggi ecc.) del poema ariostesco. Nello stesso tempo, da un’indagine sistematica di semantica storica molto probabilmente emergerebbe la diversità costitutiva del campo del sapere agli inizi del XVI secolo da quello che di lì a poco comincerà a dar vita al paradigma scientifico galileiano. Alla cultura filologico-testuale, basata sul continuo confronto con le auctoritates e i modelli classici e sulla possibilità di completarli addirittura migliorandoli in un nuovo progetto, dapprima si affianca e progressivamente si sostituisce la verifica empirica che conduce a paradigmi astratti e, in teoria, universali: proprio quelli che riducono il pensiero e l’opera dei singoli a casi particolari. La formazione dell’individualismo borghese è anche da ricondurre al periodo rinascimentale italiano (in questo, sì, parte dell’Early Modern, ma certo non riducibile ai processi economici innescatisi in altre zone d’Europa), tuttavia i parametri della modernità devono tener conto pure di una ‘prosecuzione assassina’ quale è quella della rivoluzione scientifica, da cui senza dubbio viene aperto un percorso di pensiero che porterà a postulare la separazione netta fra le due culture, sommamente antirinascimentale.
Il presente lavoro tenta allora di interpretare il Furioso ponendolo a confronto con autori e opere che permettono di precisarne la valenza storica e nel contempo la portata inventiva, in una sintesi integrata del certum e del verum della lettura critica. In generale, l’eccellenza che tuttora dobbiamo riconoscere ad alcuni nostri capolavori del primo Cinquecento, se non altro come esito di una ricezione di lunga durata, diventerebbe meglio spiegabile come il risultato di specifiche elaborazioni di campi semantici largamente condivisi. Per esempio, fra le analisi e gli affondi di un Machiavelli, di un Castiglione o di un Guicciardini, e il mondo euritmico ma non ingenuamente utopico di Ariosto, si possono forse instaurare connessioni (o distinzioni) in prima battuta non evidenti. Tutti arrivano, nei primi anni del XVI secolo, a confrontare la progettualità umanistica, la tensione a creare società eticamente e artisticamente regolate, fondate sui paradigmi classici, con una situazione storica all’insegna della precarietà: ma la partita era aperta e la volontà di modellizzare e di tenere a bada l’instabilità degli individui e in genere delle cose umane era grande. Già all’epoca del terzo Furioso tante cose sono cambiate, e la realizzazione di molti degli ideali umanistici sembra delegata ad altri, in primis il restauratore di un autentico Impero, che peraltro stava diventando addirittura transoceanico, Carlo V.
Contro questa precoce globalizzazione ben poco alla lunga ha potuto fare la somma di piccoli governatorati, quelle espressioni geografiche che solo tre secoli più avanti saranno chiamate Italia. Eppure, una nuova analisi sistematica del periodo primocinquecentesco, e in generale di quello rinascimentale italiano, ci potrebbe consentire di interpretare i dati disponibili come metonimia di un sistema etico-culturale, che mirava in effetti non a un ritorno all’Età dell’oro o alla scoperta di un’Utopia, bensì a una ricerca di esiti artistici e trattatistici garantiti dalla tradizione e proprio per questo, a un secondo grado, idonei a intercettare quanto tradizione non era. Tale sistema ha costituito, nel suo insieme, un fondamento per ogni successivo modello di relazione fra letteratura, arte e storia, nonché una perfetta forma simbolica della tendenza stilistica all’armonizzazione, e resta perciò un imprescindibile punto di riferimento persino nelle età delle perfette disarmonie, come quella in cui viviamo.