Di Alberto in: Proposte

Romanzi di Finisterre 5


Capitolo su L’arcobaleno della gravità da Alberto Casadei, Romanzi di Finisterre (Roma, Carocci, 2000). Per le indicazioni bibliografiche, si veda la categoria Discussioni

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Storia, mito, satira, apocalisse, allegoria…:

L’arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1.1. La scoperta di Gravity’s Rainbow (1973; trad. it. L’arcobaleno della gravità, 1999) sembra quella che la sgm sia stata molto diversa da come la si immagina: di essa si colgono solo tracce confuse e sorprendenti. Non ci è presentata una serie di eventi drammatici ma di scene ricostruite a posteriori, magari sulla base di ricerche di tipo giornalistico e di filmati, e però spesso ben poco attinenti agli eventi bellici. Si può ricordare che Pynchon è nato nel 1937 a Glen Cove negli Stati Uniti, e quindi non ha vissuto in prima persona la sgm. Tuttavia GR è un romanzo su quella guerra, che si scopre svolgere, in fondo, un ruolo insostituibile[1].

Vediamo come vengono trattati alcuni riferimenti sicuri a vicende di primaria importanza. Quasi all’inizio della terza fra le quattro parti di GR, intitolata In the Zone, si parla di una bambola dai capelli umani: «I capelli della bambola sono veri: nel bruciare emanano un odore tremendo [The doll’s hair was human. The smell of it burning is horrible]»; e più oltre si chiarisce: “Perché bruci i capelli della mia bambola?” / “Be’, non sono veramente i suoi capelli, no?” / “Papà m’ha detto che erano i capelli di un’ebrea russa” [“Why are you burning my doll’s hair?” / “Well, it’s not her own hair, you know” / “Father said it belonged to a Russian Jewess”]» (pp. 366-7; cfr. p. 282 ingl.). Il dialogo fornisce un’informazione terribile come se fosse del tutto banale. Nel 1973 si sa “troppo” dei lager per parlarne con orrore. È molto più orribile parlare di ciò che è avvenuto come se fosse ovvio.

Un altro riferimento (pp. 883-4; cfr. pp. 693-4 ingl.):

 

In una di queste strade, nella nebbia mattutina, appiccicato a due ciottoli scivolosi, c’è un foglio di giornale strappato [...]. Sopra appare parte del titolo, a caratteri cubitali: / OMB SGANC / ROSHI / insieme al logotipo di un qualche giornale delle forze d’occupazione [...]. Proprio in quel momento, all’orizzonte, a est, appare la Vergine pallida, la testa, le spalle, i seni, 17° 36′, continua a emergere, scoprendosi fino all’imene. Alcuni giapponesi, la cui sorte era ormai segnata, vi avevano visto una divinità occidentale. Era apparsa minacciosa nel cielo orientale, osservando dall’alto la città che stava per essere sacrificata. Il sole era in Leone. La vampata di fuoco era arrivata vigorosa, suprema [In one of these streets, in the morning fog, plastered over two slippery cobblestones, is a scrap of newspaper headline [...]. The letters / MB DRO / ROSHI / appear above with the logo of some occupation newspaper [...]. At the instant it happened, the pale Virgin was rising in the east, head, shoulders, breasts, 17° 36′ down to her maidenhead at the horizon. A few doomed Japan-ese knew of her as some Western deity. She loomed in the eastern sky gazing down at the city about to be sacrificed. The sun was in Leo.The fireburst came roaring and sovereign].

 

Si parla dello scoppio della bomba atomica, e l’evento è inserito in un quadro cosmico, più precisamente astrologico ma anche parareligioso (nel passo si parla della Croce, forse dell’Albero della Vita, e di «some Western deity»): Hiroshima è una città da sacrificare, l’incendio è incontrastabile. L’avvenimento appare come un tassello di un mosaico mostruoso[2].

Allarghiamo adesso il campo, per fornire uno sfondo ai nostri riferimenti. I luoghi dell’azione di GR si trovano un po’ in tutta l’Europa del periodo 1944-45: Londra, la Svizzera, la Francia, la Germania occupata ecc. L’azione si colloca tra il 18 dicembre 1944 e il 14 settembre 1945; il Companion (pp. 10 ss.) evidenzia una possibile struttura soggiacente a questa periodizzazione: infatti, intersecando le date significative del testo con le festività della religione cristiana, si ottiene un’evolu-zione precisa (che per vari aspetti può costituire un mandala). Peraltro, come si è accennato, nel romanzo si parla della guerra attraverso avve-nimenti secondari e oscuri, anche se le singole allusioni risultano docu-mentate. Si potrebbe parlare di una fantastoria della sgm.

Ma l’intera vicenda può anche apparire come un film visto in un cinema di Los Angeles, dove siamo trasportati alla fine del romanzo. È stato notato da tempo che l’intero GR presenta molteplici caratteristiche di un film: ad esempio, le frequenti interruzioni, le ellissi e altri simili artifici possono rappresentare frammenti di scene, e i passaggi tra una scena e l’altra paiono quanto mai simili a stacchi cinematografici (fra l’altro, le divisioni sono indicate con file di quadratini, che ricordano i buchetti per lo scorrimento delle pellicole). Questa duplicità interpretativa fa sì che si abbia uno slittamento continuo tra realismo e antirealismo (fra l’altro spesso segnalato nel testo), e perciò l’opposizione avrebbe solo in parte ragion d’essere (ma su questo dovremo tornare).

Il filo conduttore della storia parrebbe costituito dall’intrigo relativo ai missili v2, l’arma finale di Hitler. Già all’inizio di GR si descrivono gli effetti dello scoppio di un missile su Londra nel periodo bellico (il momento esatto è incerto – «Un grido s’avvicina, attraversando il cielo. È già successo prima, però niente di paragonabile ad adesso [A scream-ing comes across the sky. It has happened before, but there is nothing to compare it to now]», p. 9; cfr. p. 3 ingl. – e forse si tratta del sogno fatto da uno dei personaggi, ma qui non importa); alla fine, tutto lascia pensare che un missile stia ancora per cadere sul cinema di Los Angeles di cui si è già parlato: si crea così una sorta di circolarità, e nel-lo stesso tempo una continuità tra il 1944-45 e il presente, cioè il 1970. Ma continuamente nel romanzo si accenna ai danni provocati dai missili, che sovvertono il rapporto di causa-effetto perché colpiscono prima che se ne senta il suono, e che generano un’angoscia di morte, più volte esplicitata.

Inoltre, le ricerche o più esattamente le quêtes di tutti i personaggi maggiori sono rivolte a conoscere le caratteristiche di un misterioso Schwarzgerät, o anche Rocket 00000 (e poi 00001), che alcuni vorrebbero impiegare, altri neutralizzare: in sostanza, le azioni paiono finalizzate a produrre o ad evitare una catastrofe completa. È allora facile ipotizzare che il Rocket (e le v2 in genere) costituisca un travestimento della bomba atomica, sintesi della tecnologia bellica tanto spesso chiamata in causa nel romanzo di Pynchon. Ovviamente, questa interpretazione risulta di per sé riduttiva, perché al missile sono assegnate molte altre connotazioni, persino mitologiche; tuttavia essa risulta utile per orientare l’analisi, in modo da non trascurare gli aspetti storici e concreti che le allegorie apparentemente astruse di GR manifestano.

Su questo torneremo. Va però notato subito che la paura della bomba atomica costituisce una costante tra gli anni della sgm e quelli in cui scrive Pynchon. Ecco una sua dichiarazione (Introduzione a Entropia, p. 21, corsivo nostro):

 

leggevo anche molti autori vittoriani, e nella mia immaginazione la prima guerra mondiale prese la forma di un disastro apocalittico, uno di quei tormenti particolarmente cari allo spirito dell’adolescenza. / Non che la consideri una cosa da prendere alla leggera. Anche perché coinvolge pure il nostro incubo comune, la Bomba. La faccenda si era già messa male nel ’59, ma adesso è peggio ancora, perché il potenziale di pericolosità continua ad aumentare.

 

Il contesto consente di capire che non si parla solo della pgm, ma anche e soprattutto della Seconda. L’impotenza di fronte alla bomba atomica (la “Bomba”) generò la grande paura-paranoia tipica del periodo della Guerra fredda. Poi arrivò anche il conflitto del Vietnam (1957-75: gli usa intervennero nel 1964-65), che fece aumentare i rischi e le concrete possibilità dell’impiego di armi atomiche. E non occorrono studi sociologici molto raffinati per constatare che questa grande paura segna buona parte del secondo Novecento: non conta più la storia, ma la sua possibile fine.

In GR, l’astrusa sgm rappresenta metonimicamente la storia stessa come paranoia, come complotto, ma anche come allegoria parodica e tragica del destino dell’umanità.

 

1.2. Esaminiamo altri passi significativi.

 

Guardate le ciminiere, come proliferano, sventagliando gli escrementi dell’escremento originario su zone sempre più grandi della città. Da un punto di vista strutturale, non esistono costruzioni più forti delle ciminiere, sotto compressione. Una ciminiera può sopportare qualsiasi esplosione… perfino l’onda d’urto delle nuove bombe cosmiche [...]. La persistenza delle strutture favorisce quindi la morte. Una morte che si trasforma a sua volta in altra morte [...]. Questo è il segno della Morte intesa come imitatrice [Look at the smokestacks, how they proliferate, fanning the wastes of original waste over greater and greater masses of city. Structurally, they are strongest in compression. A smokestack can survive any explosion– even the shock wave from one of the new cosmic bombs [...]. The persistence, then, of structures favoring death. Death converted into more death [...]. This is the sign of Death the impersonator].

 

Il passo (p. 222; cfr. p. 167 ingl.) si presenta come una profezia espressa dallo spirito di Walter Rathenau riguardo il destino e il potere della scienza e dell’industria, un tema onnipresente in GR. È assai discutibile che l’allusione alle ciminiere o camini che generano morte si riferisca, metaforicamente, anche ai forni crematori dei lager: si potrebbe solo notare che la sorte degli ebrei sarebbe così inserita in un destino universale e inarrestabile di morte. Comunque, l’intero passo è importante, perché spiega che «Il movimento vero non va dalla morte alla rinascita. Va dalla morte alla trasfigurazione della morte. Tutt’al più, quello che si può fare è polimerizzare qualche molecola morta. Ma la polimerizzazione non è una resurrezione [The real movement is not from death to any rebirth. It is from death to death-transfigured. The best you can do is to polymerize a few dead molecules. But polymerizing is not resurrection]» (p. 221; cfr. p. 166 ingl.). Non c’è resurrezione ma solo morte trasfigurata, secondo Rathenau; nella citazione in esergo alla prima parte di GR (Beyond the Zero), ricavata da uno scritto di Wernher von Braun, si può leggere che «In natura nulla si estingue: tutto si trasforma [Nature does not know extinction; all it knows is transformation]» (p. 7; cfr. p. 1 ingl.). Si tratterà di capire in che misura queste affermazioni si possono accostare al significato generale del romanzo.

Per tornare al nostro tema, vanno segnalati alcuni riferimenti ai lager, al solito brevi, come il seguente (p. 555; cfr. p. 432 ingl., e anche pp. 665-6 ingl., in cui si fa riferimento ad Auschwitz e Buchenwald):

 

Un odore di merda, di morte, di sudore, di malattia, di muffa, di piscio, il respiro del campo Dora [un lager] lo aveva subito avvolto mentre lui [F. Pökler] avanzava lentamente, fissando i cadaveri nudi che venivano portati via, ora che gli americani erano così vicini, per essere ammucchiati davanti ai forni crematori [The odors of shit, death, sweat, sickness, mildew, piss, the breathing of Dora, wrapped him as he crept in staring at the naked corpses being carried out now that America was so close, to be stacked in front of the crematoriums].

 

Una descrizione come questa non vale solo di per sé, per la sua essenziale crudezza, ma assume nell’intero romanzo un valore metaforico: i luoghi di tortura per molti aspetti non si differenziano dal mondo “normale”, che in GR è rappresentato come altrettanto perverso. Si crea dunque un cortocircuito lager/quotidianità.

Questi riferimenti puntuali potrebbero essere aumentati, sebbene spesso risultino, come si è detto, abbastanza oscuri. Ma più in generale è importante un passo in cui, durante la funzione di una messa del periodo natalizio in una chiesa del Kent, viene svolta una riflessione sulla guerra, e in specie sulla sgm (pp. 174-5; cfr. pp. 130-1 ingl.):

 

e udite, udite: questo è il vespro della Guerra, l’ora canonica della Guerra, la notte è vera [...]. Sono queste le barriere che la Guerra e l’Impero innalzano, a separare le nostre vite. Per la Guerra è una necessità dividere, suddividere, anche se la propaganda insiste sempre sulla necessità di unire, di allearsi di collaborare. La Guerra non sembra aver bisogno d’una coscienza popolare, collettiva, neppure come quella ideata dai tedeschi, ein Volk ein Führer, vuole una macchina composta di molte parti separate, non l’unità ma la complessità… Di fatto, però, chi può sapere che cosa vuole davvero la Guerra, così grande, così fredda, così… assente. Forse la Guerra non è nemmeno una consapevolezza, una forma di vita, ma solo qualche cosa che assomiglia, in modo crudele e accidentale, alla vita [listen: this is the War’s evensong, the War’s canonical hour, and the night is real [...]. The War, the Empire, will expedite such barriers between our lives. The War needs to divide this way, and to subdivide, though its propaganda will always stress unity, alliance, pulling together. The War does not appear to want a folk-consciousness, not even of the sort the Germans have engineered, ein Volk ein Führer – it wants a machine of many separate parts, not oneness, but a complexity…. Yet who can presume to say what the War wants, so vast and aloof is it… so absentee. Perhaps the War isn’t even an awereness – not a life at all really. There may only be some cruel, accidental resemblance to life][3].

 

La guerra viene presentata come un’entità misteriosa ma dotata di una propria volontà, una dea che regola la vita umana nei suoi più infimi dettagli: insomma, ben altro che la semplice lotta fisica di uomini. Come exemplum di quanto sostenuto, viene proposta la storia dell’uomo che crede di essere lui stesso la sgm (p. 131): la schizofrenia assume un valore emblematico, certificando l’onnipervasività della condizione bel-lica. Più oltre, la guerra mostra di avere le necessità tipiche della civiltà industriale («La Guerra ha bisogno di carbone [...]. La Guerra ha bisogno di elettricità [The War needs coal [...]. The War needs electricity]», p. 178; cfr. p. 133 ingl.), e diventa addirittura la quintessenza della tecnologia.

Questa descrizione, che ancora si adatta alla sgm, sfocia poi nella rappresentazione di una battaglia cosmica tra le forze del Bene e quelle del Male (pp. 135-6), in cui ricorrono, in mezzo a molti altri riferimenti profani, varie figure e simboli della religione cristiana («Christmas star», «Adversary», «Messiah», «Kingdom», nonché il paragone «Herod or Hitler», p. 135 ingl.). Per far emergere il senso della sgm, quindi, sembra necessario ricorrere ad un sistema simbolico, che però a sua volta fa parte di una visione allegorica (sia pure non priva di parodia) della storia.

In altri passi sono ancora più evidenti i rapporti tra guerra/tecno-logia e mistica/cabbalistica: si veda ad esempio il seguente (pp. 664-5; cfr. pp. 520-1 ingl. e Companion, p. 228):

 

e va bene… diciamo che il nostro compito qui è veramente quello di fare i Cabalisti, diciamo che il nostro destino è quello di essere i maghi-eruditi della Zona, nella quale si trova, da qualche parte, un Testo [...] il Testo sacro dov[eva] essere il Razzo [...] il bombardamento [degli aerei usa in Germania] era un processo esatto di conversione industriale [...] decodificando così il Testo, codificando, ricodificando, ridecodificando il Testo Sacro [...]. Questo significa che la politica non era mai stata la causa della Guerra, la politica era tutta scena, serviva solo a distrarre l’attenzione della gente… segretamente, invece era dettata dalle necessità della tecnologia [...]. Fa’ pure, fratello, metti la T maiuscola alla Tecnologia, deificala… [all right, say we are supposed to be the Kabbalists out here, say that’s our real Destiny, to be the scholar-magicians of the Zone, with somewhere in it a Text [...]. This holy text had to be the Rocket [...] the bombing was the exact industrial process of conversion[...] thus decod- ing the Text, thus coding, recoding, redecoding the holy Text [...]. It means this War was never political at all, the politics was all theatre, all just to keep the people distracted… secretly, it was being dictated instead by the needs of technology [...]. Go ahead, capitalize the T on technology, deify it…].

 

La sgm insomma rientra in uno scenario scientifico-tecnico-religioso (benché non di una religione creduta) di proporzioni universali, che si presenta in parte come caos e in parte come cosmo, o meglio, nello stesso tempo caos e cosmo, sinolo tragico e buffo, serio e parodico. Ciò però non implica che Pynchon perda di vista le ragioni concrete di ogni guerra, come dimostra chiaramente questo passo, che implicitamente ci spiega perché le vicende secondarie siano più significative di quelle principali (p. 142; cfr. p. 105 ingl.):

 

Non si può dimenticare che il vero scopo della Guerra consiste soprattutto nella compravendita. Le uccisioni e la violenza sono autoregolamentate, possono essere affidate ai non professionisti. Le morti di massa che caratterizzano la Guerra sono vantaggiose sotto molti aspetti. In quanto spettacolo, sono un utile diversivo per mascherare le vere attività della Guerra. Forniscono la materia prima da registrare nei libri di Storia, così che si possa insegnare ai bambini la Storia intesa come una serie di violenze, di battaglie, per prepararli meglio al mondo degli adulti. Ma, cosa ancora più importante, le morti di massa costituiscono uno stimolo per la gente comune, i poveri diavoli che cercano di afferrare la loro fetta di torta finché sono ancora qui a poterla trangugiare… La vera guerra è la celebrazione dei mercati. I mercati organici, che i professionisti opportunamente definiscono “mercati neri”, spuntano fuori un po’ dappertutto. Buoni, sterline, Reichsmark, si muovono continuamente, precisi come in un balletto classico, dentro le asettiche sale di marmo delle loro tesorerie. Però è fuori, tra la gente, che nascono le vere valute. E dunque gli ebrei sono commerciabili come tutto il resto… [Don’t forget the real business of the War is buying and selling. The murdering and the violence are self-policing, and can be entrusted to non-professionals. The mass nature of wartime death is useful in many ways. It serves as spectacle, as diversion from the real movements of the War. It provides raw material to be recorded into History, so that children may be taught History as sequences of violence, battle after battle, and be more prepared for the adult world. Best of all, mass death’s a stimulus to just ordinary folks, little fellows, to try ’n’ grab a piece of that Pie while they’re still here to gobble it up. The true war is a celebration of markets. Organic markets, carefully styled “black” by the professionals, spring up everywhere. Scrip, Sterling, Reichsmarks continue to move, severe as classical ballet, inside their antiseptic marble chambers. But out here, down here among the people, the true currencies come into being. So, Jews are negotiable...].

 

2.1.1. Cerchiamo adesso di analizzare gli elementi della struttura – in apparenza, ben poco formalizzata – di questo romanzo. GR appare come un’opera onnicomprensiva: i personaggi (usiamo questo termine per comodità, benché sulla loro inconsistenza si sia già scritto molto) provengono da tutto il mondo, e, anche se la cultura maggiormente rappresentata è quella dominante, occidentale nel senso più largo, non mancano i riferimenti all’ebraica, alle africane, alle indiane ecc. Si potrebbe parlare di GR come della prima opera globale della cultura filmico-televisiva, cioè di una cultura che allarga smisuratamente i propri confini e che procede in simultaneità mondiale perché tutto è visibile ovunque: e questo è un tratto tipico del postmoderno.

 

I personaggi principali, a cominciare dal quasi-protagonista Sloth-rop, sono impegnati in varie quêtes, che, direttamente o meno, sono legate fra loro, perché tutte riguardano il grande complotto del Rocket 00000. Si tratta di una ricerca analoga a quella del Graal[4], ma in una versione che, con Harold Bloom (1986), potremmo definire da cartoon: in effetti le prove cui sono sottoposti i vari personaggi, e in specie Slothrop, sembrano una deformazione grottesca di quelle magiche e mitiche cui andavano incontro i cavalieri antichi.

 

La quête principale di GR è priva di possibilità di approdo: il Missile si rivela progressivamente come irraggiungibile, addirittura inconoscibile. È vero che sono numerosissime le definizioni e le notizie sul Rocket (a partire almeno da p. 13, cfr. p. 6 ingl.: «This is the new, and still Most Secret, German rocket bomb»), ma esse sono talmente varie e contraddittorie da renderlo appunto un simbolo non decifrabile. Si veda ad esempio tutto l’episodio iii.2, e in specie le pagine in cui il missile, presentato come una perfetta sintesi di tecnica e scienza, diviene un’entità atemporale: «Il veicolo in movimento viene immobilizzato nello spazio, diventa architettura senza tempo. Non è mai stato lanciato. Non cadrà mai [The moving vehicle is frozen, in space, to become ar-chitecture, and timeless. It was never launched. It will never fall]» (p. 390; cfr. p. 301 ingl., corsivo nostro). Assai importanti (e da analizzare in dettaglio) risulterebbero poi le pagine successive, dedicate alla “totemiz-zazione” del Rocket da parte della popolazione africana degli Herero[5]. E altre ancora sarebbero le citazioni significative, ma per ora basti notare che al missile sono legate molte allusioni misterico-rituali (cfr. ad esempio: «Le quattro alette del Razzo formavano una croce, un altro mandala [The four fins of the Rocket made a cross, another mandala]», p. 716; cfr. p. 563 ingl.).

 

Questa quête è insomma abnorme, e si svolge attraverso l’intero mondo occidentale e la sua cultura, sintetizzata in modo astruso. La Tecnologia/Tecnologizzazione e la Scienza costituiscono il canone dello sviluppo di quella cultura, ma esse s’inseriscono un ordine cosmico, fondato su assunti mitico-grotteschi, e che si esplica in una serie di opposizioni (bianco/nero, nord/sud, organico/inorganico ecc.), che sembrano condizionare ogni azione umana.

Possiamo qui chiarire un punto importante. È giusto parlare di personaggi da fumetto in GR: nella loro rappresentazione, l’“effetto di superficie” postmoderno è molto forte. Tuttavia, essi possono anche venire considerati come atomi portatori di cariche positive o negative, o anche come entità che agiscono in un sistema chiuso, caratterizzato, potremmo dire, sia da un punto di vista fisico, sia da uno metafisico. In altre parole, c’è una logica, per quanto paranoica, nel sistema dei personaggi, nonostante che essi siano contraddistinti dall’inconsistenza, dalla metamorfosi incessante e dalla perdita dell’identità (e si consideri il destino “entropico” di Slothrop). Questa logica è appunto quella delle grandi opposizioni sopra individuata.

Addirittura, si potrebbe configurare una lotta fra elementi costruttivi ed elementi distruttivi: la Vita (che potrebbe essere rappresentata ad esempio da Enzian, nome molto simile a «Enzyme», “Enzima”, sebbene scelto in omaggio a Rilke, cfr. p. 101 ingl.) vs. la Morte (che è implicita in uno dei soprannomi di Weissmann, «Blicero»), ossia due forze cosmiche che si scontrano in una battaglia che conduce a un sacrificio tragico (quello di Gottfried)[6]. Con ogni cautela, dovuta ai continui stravolgimenti parodici, si potrebbe congetturare che al fondo di GR si trovi la lotta eterna dei princìpi del Bene e del Male, come si è detto rappresentata in modo tragico e comico nello stesso tempo: la sgm costituirebbe un equivalente tecnologico e filmico di quella lotta[7].

 

La quête implica un cronotopo. Il tempo della storia di GR è già stato individuato, e la sua organizzazione sembrerebbe definita da regole precise. Ma il tempo del racconto sfalda questa regolarità: le continue analessi e prolessi (che spesso si rivelano false) fanno sì che il tempo definito risulti caotico, che il contemporaneo sembri non-contem-poraneo e viceversa. Davvero la Storia lineare o ciclica si è trasformata in una spirale, che viene percorsa senza alcuna regola da personaggi paranoici, che concepiscono la storia come paranoia.

 

E qualcosa di molto simile va detto a proposito dello spazio. I luoghi dell’azione sono principalmente situati in Europa, ma i continui cambiamenti di scena provocano la perdita di coordinate precise: in ogni luogo si possono ritrovare personaggi provenienti da ogni parte del mondo, e dunque si perde ogni localizzazione precisa. Se dunque, come è stato affermato (Best, 1992), GR tenta di costruire una mappa del mondo bellico (e post-bellico), si tratta ancora di un’operazione di “logica assurda”, in cui l’ordine apparente viene dissolto in un caos ingovernabile.

Questi elementi sono abbastanza tipici del postmoderno, in quanto fase culturale che rifiuta le grandi leggi date alla storia, e dunque le interpretazioni che della storia sono state proposte. Ora, se riprendiamo la questione della strutturazione filmica di GR, è chiaro che essa riguarda anche il modo di rappresentare una realtà mediata, ovvero una iperrealtà, quale sembrerebbe essere diventata la sgm. Qualcuno potrebbe persino sostenere che il film che tutti stiamo vedendo sulla sgm è la realtà: l’effetto di iperrealtà fa svanire ogni tentativo di realismo, facendo sì che ciò che è storico non sembri più tale. Ma, a parte le indicazioni opposte che il testo ci propone (cfr. pp. 691-2 ingl.), alla fine risulterà improrogabile un ultimatum, e quindi un ritorno alla realtà in quanto entropia e morte.

Un’ultima osservazione d’insieme. È stato detto (Madsen, 1991) che GR si può leggere come un’allegoria, in cui però, secondo quanto già indicato da Benjamin e da De Man, il significato finale resta sconosciuto. E questo è in parte vero, anche se, come abbiamo visto, dietro i personaggi e le loro quêtes si può individuare la traccia di un qualche significato ulteriore, che peraltro viene insieme affermato e parodiato. Tuttavia va sottolineato che le singole allegorie conducono tutte ad una conclusione, al finale, che fornisce un (non)senso a tutto GR.

 

2.1.2. Prima di passare all’analisi del finale di GR dobbiamo ancora precisare alcuni aspetti, in specie evidenziare quali sono i possibili modelli dell’opera. A riscontro sono citati Melville, ma soprattutto Joyce e Rabelais[8]. Qualcuno ad esempio sostiene che GR sia una sorta di Ulysses mondiale, tuttavia ciò convince solo in parte. Rispetto all’Ulysses, nel romanzo di Pynchon si riscontra un minore interesse per il soggetto individuale, ovvero per la percezione soggettiva della realtà: GR fonda il suo enciclopedismo sul confronto con i sistemi interpretativi scientifico-tecnologici (e in genere extraletterari), che però vengono deformati e decostruiti. Si tratta di una differenza notevole rispetto all’au-toriflessività delle grandi enciclopedie moderniste; di certo, diversamente da quanto accade con l’ordine “mitico” nell’Ulysses (ammesso e non concesso che così si possa definire), il mito in GR non dà un ordine, se non quello dell’entropia.

Rabelais è forse l’autore meglio paragonabile a Pynchon: i loro romanzi maggiori sono stati definiti (Morgan, 1977; Kharpertian, 1990) satire menippee. In effetti, l’accoglienza delle forme culturali del secondo Novecento, alte e basse[9], fa sì che il mondo ricostruito in GR appaia come intrinsecamente mescidato. Va però aggiunto che la gioia carnevalesca di Rabelais viene soppiantata da una visione infernale: il biotico non è più un valore in sé, e anzi il testo mostra di insistere sulle perversioni e sulla pulsione di morte, piuttosto che sul piacere corporeo del vivere (cfr. par. 2.2).

In realtà, GR non propone solo un tipo di grottesco: è un tentativo di rendere grottesca, o, bachtinianamente, di carnevalizzare l’intera realtà, anche quella più angosciante e tragica della guerra. Perciò, satira menippea, anatomia o altre definizioni sono valide per suggerire l’incredibile varietà di elementi accumulati in GR, ma rispetto ai modelli tradizionali va notato che qui tutto è astrusamente (ma “realmente”) connesso a tutto («Everything is connected»), e tutto procede verso il suo svuotamento. Se per Pynchon, come per Wittgenstein, il mondo è uguale al caso, ogni azione è inutile, e quindi, vista in una prospettiva più ampia, grottesca. Ecco allora che i fatti della sgm non contano più di per se stessi, ma in quanto parti di quel processo entropico che è la storia.

 

2.1.3. In questo processo che conduce la realtà al grottesco può rientrare anche uno dei tratti più peculiari di GR, la singolare unione di elementi tecnologico-scientifici e di elementi misterico-religiosi, o, più brevemente, l’unione di cabala e scienza. In effetti, attraverso la commistione e addirittura la confusione di due livelli di conoscenza che il razionalismo ottocentesco aveva distinto nettamente (ma già Benjamin ha a lungo riflettuto sulla tecnica come mito moderno), si arriva ad una visione del mondo concettualmente grottesca: e in questo si avrebbe il pendant tematico-contenutistico del grottesco formale della satira menippea. Tuttavia l’analisi è più complessa, perché in questa unione astrusa si deve riconoscere anche una componente non parodica (cfr. par. 2.2).

La scienza cui fa riferimento Pynchon è quella che ha portato a non credere più a nessuna delle sue stesse scoperte, se non a quelle che ne minano i fondamenti: in GR sono citati soprattutto il principio di Heisenberg, il teorema di Gödel, il Secondo principio della termodinamica (magari nella versione umoristica della legge di Murphy), le varie prove di indecidibilità, insomma tutto quello che rende la scienza moderna un caso particolare di un caos universale. Ecco perché il rapporto con le teorie cosmologiche misterico-religiose non è unicamente parodico in GR, ma anche, insieme, tragico. Ciò rappresenterebbe un punto di contatto con la spiritualità postmoderna, su cui si è insistito ultimamente[10]. Certo è che l’insistenza sugli elementi gnostici, con particolare attenzione alla contrapposizione delle forze positive e negative (che peraltro possono anche cambiare di segno), non pare un elemento esornativo, ma costituisce una base fondamentale per l’interpretazione del-l’intero romanzo. Il missile, come l’arcobaleno del titolo, rappresenterebbe un tentativo di sfuggire alle Leggi, alle costrizioni della Gravità: «Sono la Forza di Gravità, è contro di me che deve lottare il Razzo, è a me che si sottomettono i rifiuti della preistoria per essere tramutati nella sostanza stessa della Storia [I am Gravity, I am That against which the Rocket must struggle, to which the prehistoric wastes submit and are transmuted to the very substance of History]» (p. 815; cfr. p. 639 ingl.); ma d’altro canto sembra destinato a ricadere, trasformandosi in una minaccia di morte: «un Razzo buono che ci porterà alle Stelle, un Razzo cattivo che trascinerà il Mondo al suicidio, e i due Razzi sono perpetuamente in lotta [...] ogni Razzo conoscerà perfettamente il proprio obiettivo e lo perseguirà, lo stanerà nel nostro Mondo, un segugio silenzioso laccato di verde, luccicante e appuntito nel cielo, mirato alle sue spalle, un guardiano boia che s’avvicina veloce, s’avvicina sempre più  [a good Rocket to take us to the stars, an evil Rocket for the World’s suicide, the two perpetually in struggle [...] each Rocket will know its intended and hunt him, ride him a green-doped and silent hound, through the World, shining and pointed in the sky at his back, his guardian executioner rushing in, rushing closer]» (pp. 925-6; cfr. p. 727 ingl.).

 

2.2.1. Ma vediamo finalmente come questi caratteri si sintetizzano nel finale di GR[11]. Per comodità del lettore, facciamo seguire una lunga citazione del passo (GR, pp. 965-8; cfr. pp. 758-60 ingl.).

 

L’ascesa

Questa ascesa sarà tradita e consegnata alla Forza di Gravità. Ma il motore del Razzo, il grido profondo della combustione che lacera l’anima, promette la fuga. La vittima, inchiodata alla caduta, si alza su una promessa, una profezia di Fuga [...] quando è cessato il rombo del motore? Il Brennschluss, quando c’è stato il Brennschluss? Non può essere, è ancora troppo presto…  ma l’ugello di scarico bruciato curva ora davanti al sole, e i capelli biondi della vittima vengono attraversati da uno spettro del Brocken – l’ombra di qualcuno, o di qualcosa, proiettata dal sole scintillante, dal cielo sempre più scuro, quaggiù nelle regioni dell’oro, del biancore, dell’immobilità, simile a quella degli spazi subacquei, mentre la Forza di Gravità scende brevemente in picchiata… che cos’è questa morte, se non uno sbiancamento, un portare il bianco all’ultrabianco [...] le ultime parole di Blicero: «Il margine della sera… la lunga curva delle persone che esprimono un desiderio guardando la prima stella… Ricordati sempre di quegli uomini e di quelle donne, lungo le migliaia di chilometri di terra e di mare. Il vero momento d’ombra è il momento in cui vedrai il punto di luce in cielo. Il punto singolo, e l’Ombra che ti ha appena raccolto sotto la sua ala…» / Ricordati sempre. / La prima stella riluce sospesa fra i suoi piedi. / Adesso… 

 

La discesa

Il battito ritmico delle mani echeggia fra quelle mura, dure e lucenti come il carbone: Avanti! Cominciate-lo-spettacolo! Avanti! Cominciate-lo-spettacolo! Lo schermo è una pagina oscura spiegata davanti a noi, bianca e silenziosa. Si deve essere spezzata la pellicola, oppure s’è bruciata la lampadina del proiettore. È stato difficile anche per noi, vecchi esperti che abbiamo passato tutta la vita al cinema (non è così), riuscire a capire di che cosa si sia trattato, prima che piombasse l’oscurità. L’ultima immagine era stata troppo fulminea perché l’occhio potesse registrarla. Forse era la figura di un uomo che stava sognando il calar della sera in tutte le grandi capitali del mondo – una sera sufficientemente luminosa da fargli capire che non sarebbe mai morto – e che usciva fuori per esprimere un desiderio davanti alla prima stella. Però non era una stella, e stava cadendo, un angelo della morte lucente. E sulla superficie sempre più scura, orrenda dello schermo, è continuato a scorrere qualcosa, un film che non abbiamo imparato a vedere… ora viene proiettata una faccia in primo piano, una faccia che conosciamo tutti… / Ed è proprio qui, proprio su questa inquadratura oscura e silenziosa, che la punta del Razzo, scendendo a un chilometro e mezzo al secondo, assolutamente, eternamente senza suono, copre l’ultima distanza incommensurabile, proprio sopra il tetto di quel vecchio cinema, l’ultimo delta-t. / C’è ancora tempo, se hai bisogno di conforto, di toccare la persona accanto a te, oppure di toccarti fra le tue cosce fredde… oppure, se hai in sorte una canzone, eccone una che Loro non hanno mai insegnato a nessuno, un inno di William Slothrop, dimenticato da secoli, fuori stampa, cantato su una di quelle arie semplici e piacevoli del periodo. Segui la pallina bianca sullo schermo che ti indica le parole: // C’è una Mano per rovesciare il tempo, / Benché nella Tua clessidra sia esaurito, / Finché la Luce che abbatté le Torri / Non trova l’ultimo, povero Preterito… / Finché i Cavalieri dormono sulle strade, / Della nostra Zona storpiata, infelice, / Dove c’è un’Anima in ogni pietra, / E una faccia su ogni pendice… // E adesso tutti insieme…

 

[ASCENT

This ascent will be betrayed to Gravity. But the Rocket engine, the deep cry of combustion that jars the soul, promises escape. The victim, in bondage to fall-ing, rises on a promise, a prophecy, of Escape [...] when did the roaring stop? Brennschluss, when was Brennschluss it can’t be this soon . . .  but the burnt-out tail-opening is swinging across the sun and through the blonde hair of the victim here’s a Brocken-specter, someone’s, something’s shadow projected from out here in the bright sun and darkening sky into the regions of gold, of whitening, of growing still as underwater as Gravity dips away briefly… what is this death but a whitening, a carrying of whiteness to ultrawhite [...] last word from Blicero: «The edge of evening… the long curve of people all wishing on the first star… Always remember those men and women along the thousands of miles of land and sea. The true moment of shadow is the moment in which you see the point of light in the sky. The single point, and the Shadow that has just gathered you in its sweep . . .» /Always remember. / The first star hangs between his feet. / Now

 

Descent

 

The rhythmic clapping resonates inside these walls, which are hard and glossy as coal: Come-on! Start-the-show! Come-on! Start-the-show! The screen is a dim page spread before us, white and silent. The film has brocken, or a projector bulb has burned out. It was difficult even for us, old fans who’ve always been at the movies (haven’t we?) to tell which before the darkness swept in. The last image was too immediate for any eye to register. It may have been a human figure, dreaming of an early evening in each great capital luminous enough to tell him he will never die, coming outside to wish on the first star. But it was not a star,  it was falling, a bright angel of death. And in the darkening and awful expanse of screen something has kept on, a film we have not learned to see . . . it is now a closeup of the face, a face we all know—

And it is just here, just at this dark and silent frame, that the pointed tip of the Rocket, falling nearly a mile per second, absolutely and forever without sound, reaches its last unmeasurable gap above the roof of this old theatre, the last delta-t.

There is time, if you need the comfort, to touch the person next to you, or to reach between your own cold legs . . . or, if song must find you, here’s one They never taught anyone to sing, a hymn by William Slothrop, centuries forgotten and out of print, sung to a simple and pleasant air of the period. Follow the bouncing ball:

 

There is a Hand to turn the time,

Though thy Glass today be run,

Till the Light that hath brought the Towers low

Find the last poor Pret’rite one . . .

Till the Riders sleep by ev’ry road,

All through our crippl’d Zone,

With a face on ev’ry mountainside,

And a Soul in ev’ry stone….

 

Now everybody–].

 

È possibile individuare, in questo passo saturo di valenze simboliche, una serie di allusioni mitico-rituali (cfr. p. 758 ingl.: «This ascent will be betrayed to Gravity. But the Rocket engine, the deep cry of combustion that jars the soul, promises escape. The victim, in bondage to falling, rises on a promise, a prophecy, of Escape», corsivo nostro), che costituiscono la base essenziale per la parte dell’Ascent. In questo contesto, sono inseriti in stream i pensieri della vittima-amato (Gottfried) e anche le parole del sacerdote-carnefice-amante (Blicero-Weissmann: cfr. pp. 759-60 ingl., dove pure si colgono accenti mitici, rituali, e anche erotici). Nella parte della Descent sembra invece prevalere un tono realistico (con la descrizione del cinema di Los Angeles, mentre il film proiettato è stato interrotto). Ma poco dopo ritornano, riferiti al Missile che sta per cadere, epiteti di tipo misterico-religioso («But it was not a star, it was falling, a bright angel of death»), che si colgono anche nell’inno di William Slothrop[12]. Questi toni e queste allusioni trovano una giustificazione: il finale, nel suo insieme, è dedicato alla morte imminente, la quale sovrasta tutti coloro che hanno guardato e guardano il film della sgm, che potrebbe essere GR. La caduta del Missile sembrerebbe inevitabile.

 

 

Il Principio di amore (che può comprendere anche il mito, la religione e tutto quello che, umanamente, si è tentato di opporre alla morte) si scontra con il Principio di morte (equivalente a «the instinct toward nonexistence» di uno dei maestri di Pynchon, Robert M. Adams). La condizione è dunque analoga a quella descritta da Freud in Al di là del principio del piacere e, soprattutto, nella grande riflessione sulla guerra che conclude Il disagio della civiltà (e si riveda il capitolo sul DF). Lo scontro apocalittico tra Amore e Morte servirebbe allora ad allegorizzare l’annientamento umano che ormai è imminente. Il mito che traveste la sgm diventa “ciò che sta per accadere”.

 

 

Pure nelle pagine precedenti (iv.12, pp. 935-68; cfr. pp. 735-60 ingl.), sempre riguardanti l’ultimo episodio di GR, i riferimenti di tipo mistico-cabalistico sono numerosissimi (basti il rinvio al Companion, pp. 304 ss.), benché talora mescolati ad altri comico-satirici. Al «sacrifice» si allude più volte (cfr. ad esempio pp. 749-51 ingl.): la purezza di Gott-fried-Boy e la tecnologia del Rocket si uniscono in un rito che fa parte del simbolismo creato da Blicero, dai tratti apocalittici (cfr., oltre all’importante premessa di pp. 916-22, cfr. pp. 721-4 ingl., in cui parla a lungo della morte imminente, la descrizione dei tarocchi, pp. 746-9 ingl., e l’interpretazione del Companion, pp. 308-10).

 

 

Una citazione risulta poi fondamentale: il rapporto erotico di Sloth-rop con il Rocket viene così interpretato: «he might be in love, in sexual love, with his, and his race’s death» (p. 738 ingl.). Probabilmente l’esito “razionale” della quête di GR è la scoperta della pulsione di morte, che la sgm ha portato ai suoi limiti estremi[13]. Ma di questo avremo modo di riparlare.

 

2.2.2. Possiamo ora tirare una somma parziale a proposito del nostro tema. In GR, la sgm riguarda tutti, in quanto allegoria-film della morte-entropia. Ma è anche lo scenario in cui ogni tentativo di opporre un principio positivo all’azione della morte-entropia trova la sua possibilità di manifestazione, per quanto destinata alla sconfitta. Certo, la natura potrà non essere annientata ma soltanto trasformata dalla fine della specie umana, e quindi riprendere il suo corso nella nuova forma; tuttavia questo non riduce la drammaticità della condizione di chi vive nell’imminenza della propria scomparsa.

 

Da un altro punto di vista, la sgm è essa stessa una forma di entropia accelerata. L’inorganico, il tecnologico ormai prevalgono sull’orga-nico (e le perversioni dei personaggi potrebbero essere interpretate come una sorta di disperato tentativo dell’organico di mantenersi in vita). Il sacrificio finale di Gottfried (in quanto creatura d’amore), e forse di Enzian (in quanto forza vitale), non serve a salvare nessuno: ognuno («everybody», ultima parola di GR) è in attesa della fine, sotto il segno del missile e della sua parabola. La sgm, così come è (mis)in-terpretata in GR, costituisce una versione allegorico-carnevalesca della minaccia concreta della distruzione[14].

 

Si comprende allora che l’allegoria di Pynchon non è vuota. I prestiti di carattere filosofico-religioso (ricavati da ebraismo e kabbalah, cristianesimo, gnosticismo, religioni indiane ecc.), pur essendo fatti collidere gli uni con gli altri, non danno come risultato uno zero assoluto, ma piuttosto la consapevolezza dell’entropia come “forma interna” della storia, specie dopo la sgm.

 

Su un altro livello allegorico (ma non ideologico) si può leggere il complotto universale che condiziona la trama del romanzo: in fondo, esso appare come l’epifania del Male, che gli uomini pensano di poter controllare, ma che in realtà non dipende affatto dalla loro azione. In altri termini, dietro il male ordito, nei confronti di tutti gli altri esseri viventi, dalle Industrie ig tedesche o da quelle statunitensi, da chi opera per una feticizzazione della tecnologia, e insomma dalla modernità tecnico-scientifica nel suo insieme, sta una più profonda opera di distruzione, quella del Male perenne.

 

Le pagine finali di GR risultano quindi, nel loro insieme, allegorico-mitiche, ma alludono alla realtà, per quanto astrusa; in esse, il grottesco assume una valenza tragica (peraltro diversamente da TL). Si è tutti in attesa di un’apocalisse, che non porterà più un Giudizio universale. Il quadro cosmico (tecnologico e misterico) di GR, che trova qui una sintesi, si fonda su basi mobili, reali e/o virtuali, tragiche e/o comiche. Però una certezza esiste: la sgm, per quanto mediata e resa virtuale, è avvenuta, e ha lasciato come sua eredità la Bomba che continua a cadere. La storia, pur intrinsecamente carnevalesca, non appare ridotta a semplice gioco, come in altri postmoderni: la natura si può trasformare e ricominciare, ma il genere umano si approssima ad una fine, già annunciata dallo scoppio dell’atomica. È lecito quindi prefigurarsi un’a-pocalisse senza trascendenza, buffa, grottesca, per ora sospesa ma imminente, a meno che, come recita la canzone di William Slothrop, non ci sia «a Hand to turn the time», un’inaspettata salvezza. Ma sembrerebbe trattarsi solo di una speranza espressa nella forma di un’altra immagine mitica.

In ogni caso è evidente che il realismo di GR è nutrito di elementi antirealistici e fantastici. Tuttavia, la mescidanza caotica proposta da questo romanzo non corrisponde ad una presa di distanza dalla realtà, bensì ad una sua riproposizione di secondo grado. La sgm ha dimostrato che, al di là di ogni tentativo di organizzazione e di razionalizzazione, l’entropia e la trasformazione della materia procedono in modo antiumano; l’uomo stesso può produrre (e produce, con la manipolazione tecnologica) cambiamenti, che forse preludono ad un’autodi-struzione. Ogni aspetto anche minimo della guerra fa quindi parte di un quadro cosmico, in cui tutte le azioni prive di senso si ricompongono, non per acquisire un significato superiore ma per tornare ad una dimensione di intrinseca finitezza. Per questo la ricreazione del mito in GR non corrisponde a quella ben analizzata da Leed per la pgm[15]: il mito in Pynchon, anch’esso di secondo grado, vorrebbe ancora fornire una spiegazione, costruire relazioni di tipo magico-misterico per narrare ciò che si suppone sia avvenuto nella sgm, ma tutto questo risulta al fondo inutile per la prevalenza della pulsione di morte, che impedisce ogni riaggregazione portatrice di significato (alla Lévi-Strauss). Il realismo postmoderno e visivo può insomma essere parodiato in un romanzo che accetta tutte le dimensioni (reali e virtuali) della contemporaneità, riconducendole però all’ultimatum dell’entropia, persino nella forma dell’apocalisse.

 

3. Si può affermare che la ricerca del Rocket-v2 in GR costituisce una trasformazione della ricerca già iniziata in V. (1963; trad. it. 1992)[16]. Questo romanzo tratta implicitamente il tema dell’evoluzione storica. Essa è regolata dall’eterna lotta tra l’organico e l’inorganico (e gli oggetti inanimati sembrano alla fine prendere il sopravvento sui viventi: cfr. in particolare pp. 506 ss.). Il mondo è tutto ciò che è il caso (secondo una nota formulazione di Wittgenstein, ripresa anche in GR), ma solo in apparenza: dietro il caso-caos, sta sempre la certezza della fine, della vanità di ogni gesto. Per questo i due protagonisti, Profane e Stencil, sono le due facce della stessa non-significanza.

In V. la storia appare sempre la stessa, dietro l’apparenza della continua variazione. Si parla soprattutto delle lotte d’inizio secolo in Africa, e poi della pgm; tuttavia, numerosi riferimenti espliciti o meno rinviano alla sgm, che pare costituire un metro di paragone per tutte le vicende storiche (cfr. ad esempio il cap. xi, e soprattutto le pp. 280-3, sulle trasformazioni che legano V. alle v1 e alle v2). Citiamo almeno questa conversazione immaginaria tra Profane e l’umanoide shroud (pp. 364-5):

 

«Vorrei che morissi per davvero. Guardati solo, tutto bardato come un essere umano. Bisognerebbe portarti dal rottamaio, altro che seppellirti o cremarti» / Ma certo. Come un essere umano. Bene, ti ricordi, subito dopo la guerra, i processi di Norimberga? Ti ricordi le fotografie di Auschwitz? I corpi di migliaia di ebrei, ammucchiati come le povere carcasse di quelle automobili [di un cimitero per auto]? Schlemihl: è già cominciata. / «È stato Hitler. Era un pazzo». / Hitler, Eichmann, Mengele. Quindici anni fa. Ti è mai venuto in mente che non c’è più modo di sapere chi è pazzo e chi è sano, adesso che è cominciata? / «Per l’amor di Dio, che stai dicendo?».

 

La lotta fra l’organico e l’inorganico, tra ciò che vorrebbe vivere e ciò che porta alla morte, tra la sopravvivenza e la cremazione (nell’O-locausto), questa lotta è alla base della sgm. Solo il racconto delle guerre può riuscire a rappresentare la concezione pynchoniana della storia, demistificante e seria: le guerre costituiscono di fatto lo sfondo delle quêtes di V., e GR prosegue in questa direzione, con la differenza che la sgm rappresenta la sintesi di ogni guerra[17].

Ci sono dunque analogie forti tra V. e GR. Tuttavia rispetto al primo romanzo la quête si è ancora allargata, sino a riguardare, in GR, addirittura la società mondiale nella sua inestricabile mescolanza (che ha una prima manifestazione nella «Zona», nella Germania invasa da «tutti i popoli della terra» nel 1945) e, contemporaneamente, il possibile compimento del suo destino.

 

4.1. È ora necessario un confronto con vari altri testi per definire meglio i caratteri specifici dell’interpretazione della guerra ricavabile da GR.

Il romanzo americano sulla sgm può essere innanzitutto ben rappresentato da The Naked and the Dead di Norman Mailer (1948; trad. it. Il nudo e il morto, 1950)[18]. Si tratta, com’è noto, di un romanzo in parte autobiografico e in parte sociologico, in cui però il racconto della lunga guerriglia per la conquista di Anapopei, un’isola controllata dai Giapponesi, lascia affiorare progressivamente una evidente simbolicità, anche se, come notava Steinbeck nell’Introduzione alla raccolta delle sue corrispondenze di guerra (Once There Was a War, 1943 e 1958; trad. it. C’era una volta una guerra, 1991), il primo motivo del successo dell’opera sta nel proporre con crudezza il “caos forsennato” che i cronisti di guerra avevano dovuto o voluto nascondere. L’impiego, sia pure adattato, di tecniche alla Dos Passos (ad esempio i Camera-eyes, qui con il titolo The time machine), finalizzate a narrare le vicende biografiche dei soldati, garantisce l’effetto di realtà del racconto. Spesso la vita militare è soggetta a critica, e notevole spazio è riservato ad una discussione ideologica della guerra (si pensi ai dialoghi e al rapporto umano tra il tenente Hearns e Cummings, che riproduce la dialettica servo-padrone, nei termini della gerarchia militare). L’eroismo parrebbe però nuovamente al centro della narrazione a partire dalla Parte iii, quando un gruppo di soldati viene mandato in missione, e l’eroe-pazzo Croft decide di osare di tutto pur di conquistare il monte Anaka: ma il simbolismo (la montagna irraggiungibile, ovvero l’insaziabile desiderio umano di conoscenza e di conquista) è per così dire sovratemporale, e non direttamente legato alle vicende della sgm, tanto che è stato proposto un confronto con Moby Dick. La conclusione negativa di questa prova[19] può costituire un implicito giudizio sulla guerra e le sue motivazioni (così come, su un altro piano, la conclusione del tutto fortuita della battaglia condotta dal generale Cummings per la conquista di Anapopei). Nonostante le sue importanti valenze simboliche, The Naked and the Dead può insomma essere considerato un romanzo di guerra costruito secondo i moduli del realismo-naturalismo americano, cioè con caratteri ben delineati, un linguaggio crudo ma stilizzato, e un denso contenuto ideologico-morale.

 

4.2. Molti altri potrebbero essere i testi da citare, ancora più fortemente legati agli schemi naturalistici: ricorderemo solo quelli di James Jones, dato il loro grande successo, che in specie toccò a From Here to Eternity (1951; trad. it. Da qui all’eternità, 1954). La storia è basata su un solo eroe-protagonista (Bob Prew), attorno al quale ruotano gli altri personaggi. Il racconto riguarda soprattutto la formazione di questo irregolare, e assai accentuato è l’interesse sociologico. Ben poco si dice della guerra in quanto tale (l’incursione di Pearl Harbor viene descritta brevemente alla fine del romanzo); anche la morte di Prew non è legata alle vicende belliche, appena iniziate, ma alla sua personale volontà di uscire da un meccanismo che lo ha sfibrato (e le pagine che descrivono la sua morte, allucinate, risultano tra le migliori di questo testo fluviale e privo di tagli di montaggio; si noti invece che questa scena risulta tra le più banali del film tratto dal romanzo nel 1953, con la regia di Fred Zinnemann). Semmai, centrato sulla sgm sarebbe un romanzo successivo di Jones, The Thin Red Line (1962; trad. it. La sottile linea rossa, 1965), che riguarda la battaglia di Guadalcanal. Qui però i modelli di Dos Passos e di Mailer risultano dominanti, e le caratterizzazioni dei personaggi principali, gli effettivi della Compagnia C, sono poco innovative, così come la struttura stessa del romanzo (anche se non mancano pagine interessanti, specie quando vengono narrate scene di lotta, in cui gli uomini sono ridotti a bestie violente). Jones continuerà a parlare della sgm anche in opere successive (cfr. Uffen, 1983). Ma i suoi testi sono ancorati ad una rappresentazione storico-biografica, che raggiunge il suo esito migliore e più ricco di sfumature con The Naked and the Dead, e che poi non produce più innovazioni significative.

 

4.3. Chi invece comincia a cambiare il modo di narrare la sgm è Joseph Heller con Catch 22 (1955; trad. it. Comma 22, 1963)[20], romanzo apprezzato dallo stesso Pynchon. Qui è il tono paradossale a condizionare il racconto, che in nuce è già tutto nell’avvitamento logico del Comma 22: «Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo». Si potrebbe dire che la guerra, soprattutto la sgm, vive della sua autocontraddittorietà, e quindi va rappresentata come sequenza di scene comico-surreali, ossia di una comicità alla fratelli Marx o alla Ionesco. Il centro del romanzo è costituito dalla grottesca lotta condotta da Yossarian (erede del buon soldato šveik) per la sua necessità primaria, «salvarsi la pelle». Tale lotta si svolge sullo sfondo improbabile della piccola isola di Pianosa, ma di fatto viene rappresentato, attraverso gli incredibili scambi commerciali effettuati da Milo Minderbinder, l’intero campo d’azione delle truppe statunitensi durante la sgm. La narrazione astrusa, i dialoghi paradossali e l’allargamento del quadro delle vicende storiche costituiscono una premessa importante per GR; tuttavia, Catch 22 resta essenzialmente un romanzo satirico-politico, di un’assurdità “logica”, centrato sì su personaggi maniaco-paranoici, ma che sono in qualche modo ancora soggetti unitari (tanto è vero che quasi tutti i capitoli sono dedicati ad uno di loro). Peraltro, l’umorismo e il grottesco cessano (e quindi, diversamente da GR, si rivelano alternativi al tragico), quando, proprio sul finire del romanzo, viene descritta la morte del giovane Snowden[21].

La paradossalità di fondo di Catch 22 apre la strada ad una fase postmoderna nell’interpretazione della sgm. Essa diventa l’immagine delle manie paranoiche della società statunitense, e occidentale in genere. Quanto più il quadro politico e sociale del dopoguerra diventa com-plesso e confuso, tanto più occorrono modelli in grado di assorbire elementi irrazionali, e la sgm si rivela una cartina di tornasole, adatta a descrivere anche il periodo posteriore.

 

4.4. La modalità paradossale non è comunque l’unica per la rappresentazione della sgm negli anni Sessanta e Settanta: in questo periodo si fanno sempre più sensibili le differenze tra gli scrittori europei e quelli statunitensi nel riproporre l’esperienza della lotta, e di ciò va tenuto conto (anche se la nostra ipotesi sulla “metafisica del realismo” consente il confronto sulla base delle motivazioni profonde e dell’uso delle forme narrative, superando le differenze esterne senza cancellarle). Si può citare ad esempio la trilogia The Sword of Honour (1952-61) di Evelyn Waugh, e soprattutto il suo romanzo conclusivo, Unconditional Surrender (1961; trad. it. Resa incondizionata, 1963). La vicenda si svolge tra l’Inghilterra (anche nella Londra bombardata dalle v1) e la Jugoslavia; l’umorismo è dominante, ma si tratta di un umorismo anglosassone, abbastanza malinconico, che costituisce una chiara forma di copertura dell’angoscia (cfr. Beaty, 1992). Al di là degli aspetti satirici pure evidenti (i capi dell’esercito sono «pazzi patentati» ecc.), si percepisce il «desiderio di morte» latente nel protagonista Guy Crouchback e in molti dei personaggi (si riconsideri il volontario suicidio del generale Ritchie-Hook): l’azione bellica non fa altro che esplicitare la componente autodistruttiva di ognuno di loro. Nel finale, vista l’inutilità di ogni suo sforzo (compresi quelli compiuti a favore di una comunità ebraica), Guy si rende conto che la resa incondizionata è l’unico modo di sopravvivenza. Si tratta dunque di un romanzo in cui la sgm fa da sfondo ad una crisi esistenziale precedente, e in cui l’umorismo e la satira costituiscono elementi difensivi e non conoscitivi.

 

4.5. Resa incondizionata è ancora un romanzo ben costruito, canonico nel senso migliore dell’aggettivo. Ben costruito ma molto più legato alle poetiche postmoderniste appare invece The Man in the High Castle (1962; trad. it. La svastica sul sole, 1997) di Philip K. Dick. Qui trova la sua maggiore espressione un filone narrativo che propone una versione stravolta della sgm, in cui le forze dell’Asse sono risultate vincitrici. Si tratta, per Dick, di un uso specifico della fantascienza, quello rivolto non all’invenzione di un futuro contraddistinto da una tecnologia sempre più mirabolante, bensì di un “presente alternativo”, di un mondo parallelo e perciò confrontabile con il nostro[22]. In effetti un romanzo dentro il romanzo, intitolato La cavalletta non si alzerà più, mette i personaggi, ma anche il lettore, di fronte alla storia “reale” della sgm, anche se l’effetto ultimo pare quello di una sorta di indecidibilità tra vero e falso: solo il ricorso all’I Ching, ossia alla saggezza cinese del Libro dei mutamenti, pare in grado di fornire qualche certezza ad esseri umani ormai privati delle loro radici culturali. Il romanzo propone molti dei temi cari alla fantascienza moralistica, che spesso voleva far riflettere sugli scenari postatomici (sulla paura della bomba anche per Dick si veda  Dr. Bloodmoney, Or, How We Got Along After The Bomb, 1965; trad. it. Cronache del dopobomba, 1997). Ma le analogie con GR paiono più relative alla comune sensibilità circa i problemi contemporanei, che non alla struttura testuale, meno ricca di riferimenti culturali in Dick.

 

4.6. Un testo che appartiene pienamente al postmoderno è Le Roi des Aulnes (1970; trad. it. Il Re degli ontani, 1987) di Michel Tournier. In questo notevolissimo testo prevale la tendenza alla riscrittura, secondo una tecnica che è stata paragonata a quella del bricolage, studiata da Lévi-Strauss[23]. In specie, la riscrittura dei miti risulta essenziale, a cominciare da quella dell’Erlkönig goethiano, cui si associano numerose altre figure mitico-religiose; ma soprattutto, s’inquadra bene nel contesto che stiamo delineando il riuso di una forma narrativa tradizionale, la Favola. Il protagonista Abel Tiffauges si autodefinisce sin dall’inizio del romanzo come «orco» («ogre»), e tutta la sua storia, dall’educazione «sinistra» alla partecipazione inconsapevole al nazismo, è una sorta di favola (o, nei termini di Propp, fiaba di magia), intessuta degli orrori previsti dal codice narrativo, che però risultano non fantastici, ma reali. Numerose potrebbero essere le citazioni, specie dall’ultima parte del romanzo, quando Tiffauges scopre che i suoi riti, le componenti “buone” della sua vita fiabesca di orco, hanno trovato uno stravolgimento parodico-tragico nei lager nazisti (p. 374; e cfr. anche pp. 376-7):

 

Poi Ephraïm [un bambino ebreo] raccontò il supplizio degli appelli che potevano durare sino a sei ore, e durante i quali i prigionieri dovevano restare in piedi, immobili, con qualsiasi temperatura. E Tiffauges riconobbe immediatamente la diabolica inversione del suo rito di olocausto che si compiva nel computo amoroso di tutti i suoi ragazzi [radunati in una Napola nazista]. Da quel momento, il ruolo dei doberman concentrazionari, addestrati a inseguire e dilaniare a morte i detenuti, gli parve appena un tocco quasi leggero, destinato a perfezionare la mostruosa analogia, quella controsomiglianza che costituiva il suo inferno personale.

 

Il nazismo appare così come un’antifiaba, in cui si realizza tutto il male, al posto di tutto il bene favoleggiato. La forza interpretativo-allegorica di questa riattualizzazione di una forma narrativa tradizionale appare anche in questo caso evidente. Sembra perciò giusto respingere l’accusa di estetizzare il nazismo, spesso rivolta al romanzo di Tournier, anche se, come scrive un critico attento (Roberts, 1994, p. 61), «while Le Roi des Aulnes does not seek to mythicize history [...] and can be exonereted from the charge of aestheticizing Nazism, it is nevertheless open to a different charge, inextricably related to its nature as aesthetic construct. Tournier’s bricolage, which we have considered specifically in its uses of references to cultural mithology, is directed towards the assembling of a complex prefigurative structure which ultimately becomes self-gener-ating».

Resta comunque vero che la storia della guerra nazista costituisce uno sfondo tremendamente reale in questo romanzo-fiaba, benché venga (ma si potrebbe dire: perché viene) metaforizzata: il punto è che per riuscire a rappresentare l’estremo occorre proprio una forma ec-cezionale, qui costituita dalla favola stravolta[24].

 

4.7. Un antecedente molto importante per GR è infine Slaughterhouse-Five (1969; trad. it. Mattatoio n° 5, 1970) di Kurt Vonnegut jr, che si basa su una tecnica di montaggio di frammenti autobiografici (Vonnegut, come il protagonista Billy Pilgrim, assistette al bombardamento di Dresda nella notte tra il 13 e il 14 febbraio 1945), che però sono intersecati con la narrazione della vita di Pilgrim nel dopoguerra (con molteplici riferimenti, spesso sarcastici, al 1968 e al Vietnam), e soprattutto con quella del suo soggiorno sul pianeta di Tralfamadore. Quest’ultimo aspetto è assai interessante: in effetti, l’intersezione del genere fantascientifico (in questo caso quello tecnologico, cfr. invece par. 4.4) con il diario di guerra, sia pure entrambi utilizzati con distacco metanarrativo, crea un cortocircuito tra il massimo di realtà vissuta e il massimo di fantasy, e questo parrebbe creare, come è stato sostenuto da alcuni, un “falso” palese. Viceversa, l’aspetto citazionario e quello del riciclaggio tipici del postmoderno vengono qui utilizzati nella loro forma meno legata alla tradizione e alla formalizzazione, cosicché si giunge ad ottenere un coacervo che, in quanto tale, reclama un’attenzione nuova da parte del lettore. (Il procedimento, per quanto semplificato, è analogo a quello già visto per Tournier.) In altri termini, non si cerca più di arrivare al realismo attraverso un aumento dei segnali di veridicità, ma al contrario attraverso l’esibizione della falsità, che lascia poi in primo piano la realtà dura, la certezza che il bombardamento di Dresda non è il sogno di un visionario, malato di paranoie persino fantascientifiche.

Sui modi per realizzare questo impasto si hanno già vari studi importanti[25]. Vogliamo solo notare che è evidente in Slaughterhouse-Five l’uso di tecniche cinematografiche per il montaggio dei frammenti, e anche questo costituisce un antecedente per GR. Anzi, la celebre scena del bombardamento aereo visto a ritroso (pp. 75-6) è stata forse impiegata in GR (si veda il Companion, p. 307), e ha dato poi spunto ad ulteriori impieghi. Ma la tecnica cinematografica conta qui soprattutto per i suoi effetti sulla compagine del romanzo: in effetti tutte le varie sequenze paiono far parte di un’unica macrosequenza filmica, e la sgm, in specie il bombardamento di Dresda, può apparire come parte di un racconto di fantascienza. Del resto, il legame tra la fantascienza e il tentativo di dare un senso all’esperienza vissuta durante la sgm è esplicitato nel testo (p. 101):

 

Rosewater [soldato amico di Billy] era il doppio più sveglio di Billy, ma lui e Billy avevano crisi simili. Entrambi avevano trovato la vita insensata, in parte a causa di quel che avevano visto durante la guerra. Rosewater, per esempio, aveva ucciso un pompiere di quattordici anni, che aveva preso per un soldato tedesco. Così va la vita. E Billy aveva assistito al più grande massacro della storia europea, il bombardamento di Dresda. Così va la vita. / Ora stavano cercando di ritrovare il proprio io e il proprio universo. La fantascienza in questo senso era un grosso aiuto.

 

La violenza sperimentata a Dresda risulta ben riprodotta proprio grazie a questo straniamento, quasi che potesse venir raccontata solo attraverso il collegamento di forme inconciliabili. Vonnegut vuole forse arrivare ad una sorta di conte philosophique sulla guerra, utilizzando una delle forme fantastiche più tipiche del secondo Novecento. Il risultato è nel complesso significativo. Però, rispetto a GR, resta una differenza fondamentale: il punto di riferimento della narrazione è ancora un soggetto unitario, l’individuo (Billy Pilgrim, ma anche, nonostante tutti i distinguo da operare, Kurt Vonnegut jr) che ha vissuto il bombardamento di Dresda[26].

Rispetto a tutti questi testi, la mescidanza narrativa di GR si conferma abnorme, e così pure il suo accostamento di alto e basso, di serio e parodico, di forme narrative tradizionali (magari agli antipodi, come l’Apocalisse e la Menippea) e di altre recenti, a cominciare dal film[27].

 

5.1. Proviamo a riassumere e a completare le varie acquisizioni su GR. Piuttosto che tentare un discorso d’insieme, procederemo per affermazioni apodittiche, che dovrebbero consentire di focalizzare i punti per noi più interessanti (senza ambire ad un’interpretazione complessiva del romanzo di Pynchon).

In GR, la sgm è grottesca, o meglio ancora astrusa, com’è astruso il montaggio filmico-televisivo che la rappresenta (ma non coincide con essa). È postmoderna, perché in essa si rinuncia ad una riorganizzazione individuale del caos, e anzi è il personaggio-individuo a scomparire. Però è anche la metafora realizzata dell’entropia, del sacrificio inutile: un’allegoria, ma non vuota. E la storia è presentata come una nevrosi collettiva, o meglio, come dice Pynchon stesso, «paranoia»; ma ciò è legato alla potenza distruttiva della sgm, che ha fatto conoscere la Bomba (v2 e Atomica) e quanto rimane dopo lo scoppio: «waste after bomb». Esiste un ultimatum che questa visione postmoderna della guerra non può cancellare: non si può far finta che la sgm non sia mai avvenuta, come pure tutto potrebbe far pensare. La guerra, che sembra qui scomparsa, ridotta al ruolo di scenario (e la bomba atomica a notizia appena accennata), resta invece come traccia allegorica di tutta la storia, anche, e soprattutto, quella successiva, che arriva fino alla contemporaneità nell’ultima pagina del romanzo.

 

Per questo si può affermare che in GR si percepisce una sorta di tragicità: la paranoia è un’altra faccia del tragico, e il grottesco-astruso è l’unico modo di esprimere il tragico un attimo prima che tutto sia distrutto. Anche GR ricorre alla forma narrativa dell’apocalisse, che è certo stravolta e buffa ma insieme terribile, per la sua imminenza. La tecnologia, heideggerianamente, dovrebbe avere valore di svelamento delle potenzialità ultime della natura, ma non svela alcuna verità: il Rocket è un simbolo carico di significati, e perciò destinato a rimanere ambiguo, sebbene da ultimo la sua allusività mortuaria prenda il sopravvento.

 

La sgm è allora un’allegoria della morte che sembrerebbe non arrivare più, apparentemente convertita in un’eterna trasformazione e polimerizzazione, secondo la visione tecnologico-industriale. Il mondo sembra ormai fatto di tecnica, ma la sgm ha dimostrato che la tecnica può giungere all’autodistruzione: i personaggi positivi di GR sembrano condannati a svanire o ad essere sacrificati, ma anche i personaggi negativi non sono esenti, come si è detto, dalla pulsione di morte freudiana, ovvero dall’«instinct toward non-existence» di cui parla R. M. Adams. E si potrebbe addirittura affermare che la morte collettiva della specie umana, cui la bomba atomica ci ha preparato, non sarebbe che un episodio nelle vicende cosmiche, tanto è vero che la natura potrebbe continuare la sua opera di trasformazione incessante senza l’uomo. Ma noi, che viviamo nell’imminenza della caduta del missile (caduta che è attesa lungo tutto il romanzo, dalla scena iniziale del 1944 a quella finale del 1970), non siamo ancora pronti ad accettare questa fine e continuiamo entropicamente la nostra azione.

 

5.2. GR si può considerare un romanzo mondiale, enciclopedico, filmico-televisivo. Naturalmente si parla di un’enciclopedia postmoderna, quindi priva di regole e di piste interpretative sicure. Non esiste più una forma di individualizzazione (come ancora nell’Ulysses). I personaggi sono composti di teorie biologiche e filosofiche, di scienza e di tecnologia, ma non sono uomini. Non c’è alcuna riorganizzazione esplicita del caos, tuttavia si riscontra una serie di coincidenze. La struttura implicita di GR (mandala, date sacre e profane, avvenimenti storici ecc.) dovrebbe essere intesa come casuale: tutti i tentativi di ordine parziale (scientifici, soprattutto) si annullano. Ma il Rocket governa implicitamente ogni vicenda.

La verità dell’entropia è l’unica che regge fino in fondo, e la sgm è stata la massima manifestazione di questa verità. Dissolta nell’aria l’utopia di un mondo migliore, resta solo un movimento incessante, una dispersione di energia. Detto in altri termini: la sgm diventa il cronotopo dell’entropia, il movimento incessante alla ricerca di una chiave per scoprire il complotto, per ritrovare un ordine, e che si conclude invece con l’esaurimento. L’apocalisse di GR si potrebbe allora anche intendere come la conclusione di un procedimento entropico, da un minimo a un massimo di probabilità, fino allo Stato di Maggiore Probabilità (come si legge in Entropia, p. 85). Questa apocalisse postmoderna è virtuale-fumettistico-paranoica e insieme cosmico-religioso-gnostica. È totalmente dissacrata eppure mitica. È la parodia di un sacrificio, che rischia di essere tragicamente serio.

 

Note

 



[1]. Si segnala che si farà costantemente uso del “GR” Companion di Steven Weisenburger (1988; d’ora in poi = Companion), fondamentale per tutte le fonti storico-documentarie, e a cui si rinvia anche per la ricostruzione della complicatissima trama e per le delucidazioni sulle centinaia di personaggi. In alcuni casi, peraltro, ci scosteremo dalle interpretazioni di Weisenburger, talora sulla base delle indicazioni del traduttore italiano, Giuseppe Natale, che ringraziamo vivamente. L’originale inglese viene citato come è ormai consuetudine con l’indicazione di pagina dell’ed. del 1973, seguita da “ingl.” (nelle note, per semplificare, non si riporterà la traduzione italiana). Altri spunti sono ricavati da Fowler (1980). Per quanto riguarda i riferimenti alla sgm, molto utile è Tölölyan (in Clerc, 1983, pp. 31-67). Vanno poi citati preliminarmente alcuni degli studi più importanti per la presente interpretazione. Data l’ampiezza della bibliografia, ci si dovrà limitare ai lavori recenti, utili anche per il pregresso; ricordiamo però almeno un articolo pionieristico, cioè Simmon (1974), molto lucido nella focalizzazione di vari problemi: ad esempio, in esso si trova già la definizione di GR come un «apocalyptic novel», ma legato sia al «cataclysmic» sia al «comic» (p. 56); si legge inoltre che «Pynchon explores history as a representation of collective neurosis» (p. 66). Si vedano poi i saggi nei volumi a cura di Mendelson (1978), Clerc (1983) e Bloom (1986). Importanti Cooper (1983), sul “controrealismo” in GR; Hite (1983), sull’idea di ordine; Moore (1987), sulla struttura filmica; Stonehill (1988), in generale sul romanzo autoriflessivo, e in specie sul rapporto tra causalità e casualità in GR; Dugdale (1990), che considera GR come un romanzo storico, ma scritto quando la storia non esiste più in quanto verità; Maltby (1991), su Pynchon e i postmodernisti dissidenti. Infine due riferimenti a lavori di tesi: Davis (1994), sul senso della storia nei primi romanzi di Pynchon; Robson (1994), studio importante (anche se talora troppo sottile) sul modello apocalittico.

[2]. Si confronti p. 480 ingl., passo in cui, con amara ironia, Hiroshima viene definita «very pretty, a perfect size, big enough for city excitement, small enough for the serenity a man needs»; e p. 588 ingl., in cui prevale il sarcasmo feroce: «We must [...] forget famous Missouri Mason Harry Truman: sitting by virtue of death in office, this very August 1945, with his control-finger poised right on Miss Enola Gay’s atomic clit, mak-ing ready to tickle 100,000 little yellow folks into what will come down as a fine vapor-deposit of fat-crackling wrinckled into the fused rubble of their city on the Inland Sea….». Cfr. poi p. 539 ingl., in cui si parla di una «Cosmic Bomb» che nel 1945 «was still trembling in its earliness, not yet revealed to the People» (e cfr. anche p. 544 ingl.). Si tratta sempre di accenni brevi e alquanto laterali, nella compagine testuale.

 

[3]. Per una buona analisi puntuale di tutto il passo, cfr. McElroy (1989), pp. 155-8.

 

[4]. La quête è una componente essenziale pressoché in tutte le opere di Pynchon (cfr. par. 3): si potrebbe parlare di un archetipo culturale, sulla scia di quanto scritto da Ohly nel suo Geometria e memoria (trad. it. 1985) a proposito della quête nel medioevo. In ogni caso, non si tratta di un mero espediente per organizzare le vicende, bensì di una componente essenziale della trama, anch’essa ricca di possibili significati allegorici. Quanto al Graal, il confronto con il missile è più volte suggerito dal testo, anche se talora in termini dissociativi (cfr. «The Schwarzgerät is no Grail», p. 364 ingl.). Cfr. Price (1989).

 

[5]. Cfr. p. 318 ingl., in cui si parla delle motivazioni che spingono gli Herero, in parte votati al suicidio, alla ricerca dell’arma distruttiva per eccellenza, appunto il Rocket 00000, «some immachination, whether of journey or of destiny, which is able to gather violent political opposites together in the Erdschweinhöhle as it gathers fuel and oxidizer in its thrust chamber: metered, helmsmanlike, for the sake of its scheduled parabola». Il missile si carica in queste pagine di molte connotazioni, sia vitalistiche sia mortuarie, anche se le seconde paiono prevalere. E si riveda anche il passo di pp. 520-1 ingl., citato in par. 1.2, che riguarda ancora le credenze degli Herero sul Rocket come «holy Text». Aggiungiamo qui, ma l’osservazione servirà nel par. 2.2, che spesso sono evidenti le connotazioni specificamente sessuali del Rocket (cfr. p. 324 ingl.).

 

[6]. Per l’interpretazione dei nomi dei personaggi cfr. Companion, e anche Simmon (1974). Nonostante le indicazioni autoriali, molte sono le ambiguità interpretative; oltretutto, si riscontrano spesso deformazioni, al limite dell’anagramma, che segnalano, attraverso i cambiamenti onomastici, come la realtà esteriore incessantemente si trasformi e si travesta. Le connotazioni implicite nei nomi di alcuni personaggi sono comunque confermate nel corso dell’opera; cfr. ad esempio GR, p. 485 ingl.: «Blicero was a local deity» (come il Kurtz di Conrad), una divinità del male, cui è connessa una potenza distruttiva. Il nome di Enzian è poi carico di una potenzialità magica: «The name has some magic [...]. He hopes it will be magic enough for one thing, one good thing when the time comes, however short of the Center [...]. Can his name, can “Enzian” break their power? Can his name prevail?» (p. 321 ingl.). Come si intuisce, il personaggio di Enzian da un lato pare portatore di una volontà positiva, che si opporrebbe alle tendenze suicide del suo popolo, i già citati Herero, dall’altro pare ambiguamente legato alle forze distruttive, prima fra tutte quella di Blicero (cfr. pp. 316-25 ingl.). Una disperata difesa della sopravvivenza si evince da vari passi (cfr. pp. 660 e 732 ingl.): ma sull’esito si veda infra. Elementi mitologico-favolistici sono poi evidenti in tutta la vicenda di Slothrop: specie in questo personaggio si coglie il “tipo”, dietro la caricatura fumettistica.

[7]. Cfr. par. 2.2. La lotta assume caratteristiche ricavabili da molte religioni, ma forse soprattutto da quella indiana, e in specie dai Veda, che prevedono molteplici sacrifici per ottenere un ritorno all’unità primordiale e superare la contingenza del mondo. Molto importante si rivela anche l’elemento haggadico, l’insegnamento ebraico sulle verità fondamentali (Bibbia-Rito), che fornisce molti elementi per l’interpretazione allegorica di GR: cfr. Companion, pp. 308 ss.

[8]. Cfr. Swartzlander (1988), pp. 134 ss., e Stonehill (1988).

[9]. Sicuramente un influsso molto forte è esercitato dalla cultura popolare (cfr., oltre al Companion,  Seed, 1988): rock e musica leggera; film minori; musical come The Wizard of Oz (trad. it. Il mago di Oz); pubblicità e slogan; ecc. Inutile sottolineare le implicazioni postmoderne di questa commistione alto-basso.

[10]. Cfr. in specie McClure (1995): «The ontologically plural and undecidable world of GR might for instance be seen, paradoxically, as both the “foundation” for and the product of a specifically postmodern quest for something like truth» (p. 150). Cfr. poi, in generale, Eddins (1990), sul versante dello gnosticismo; e il Companion (specie p. 227 su «Holy Center», nonché il commento a GR, pp. 589-91 e 721-4 ingl.).

 

[11]. Sul finale di GR, cfr., oltre alla bibliografia citata in nota 1, Cooper (1983), specie pp. 64 ss. Simmon (1974) osserva che «the parabolic path of the rocket is a unifying symbol, combining the dualism of hope and despair» (p. 62), e che il finale si presenta come «a promise, a prophecy, of Escape» (ibid.; cfr. p. 758 ingl.): ma le connotazioni negative paiono prevalere, e ad esse si darà qui risalto, pur nella consapevolezza della reversibilità delle interpretazioni relative a molti passi del romanzo.

 

[12]. Cfr. Companion, pp. 304 ss., e anche p. 207 sulle valenze del termine «gravity», sorta di «dream of annihilation».

 

[13]. Non a caso le allusioni mortuarie sono frequenti soprattutto in questo episodio: cfr. ad esempio pp. 741-2, 747 ingl. Se volessimo semplificare, potremmo affermare che, nella battaglia tra il Bene e il Male, il sacrificio appare come il compito finale dei princìpi positivi (Enzian e Gottfried). Ma, a parte le difficoltà interpretative sulla sorte di Enzian, il dualismo “Boy-vita” e “Rocket-morte” è comunque complicato da altre connotazioni (ad esempio, il Rocket è anche simbolo fallico, cfr. p. 750 ingl.). Quanto al motivo del sacrificio, esso si può presentare in modo tragico e/o grottesco: si pensi ai destini di Gottfried e di Slothrop (cfr. pp. 737-8 ingl., in cui la disgregazione di quest’ultimo si configura come un anti-mito di Orfeo).

 

[14]. Le immagini di distruzione compaiono un po’ dovunque in GR: si veda, a puro titolo di esempio, il seguente passo: «Remains of houses could be glimpsed, back in the trees [...]. At the same instant, she [Gretel] and Thanatz both realized that for hours now they must have been walking through the ruin of a great city, not an ancient ruin, but brought down inside their lifetime» (p. 485 ingl.). Su questo si potrebbe fondare un paragone (già avanzato dalla critica) con The Waste Land di Eliot, di cui GR costituirebbe un equivalente postmoderno. Ma su ciò torneremo in sede di Conclusioni.

[15]. Cfr. Leed (1979), specie pp. 157-215.

[16]. I rapporti diretti tra V. e GR sono già stati sondati: si veda il Companion e la bibliografia citata in nota 1, anche per le altre fasi della produzione di Pynchon antecedente a GR.

 

[17]. La sgm conclude anche la fase del colonialismo, cui faceva ampio riferimento V. (specie nel cap. ix). A questo proposito, va senz’altro citata la vicenda degli Herero, come si è detto diventati in GR cercatori-adoratori del Rocket, e quindi entrati a far parte di quella quête che coinvolge tutti i popoli della terra (cfr. qui note 5 e 6; e cfr. poi GR, p. 317 ingl., in cui le colonie sono definite come «outhouses of the European soul»).

[18]. Per un inquadramento dell’opera, cfr. Merrill (1992), pp. 11-29, in cui si propone la definizione di «novel of character». Cfr. poi Hume (1992) e anche Limon (1994).

 

[19]. Citiamo un passo tra i più significativi (p. 772): «Quando ebbe finalmente radunato il plotone [dopo la fuga dai calabroni], Croft scoprì che rimanevano soltanto tre moschetti e cinque zaini. Erano finiti. Sapeva che non sarebbe più riuscito a farli avanzare. Anche lui era troppo stanco. Accettò questa certezza passivamente, e nelle condizioni di spirito in cui si trovava non ne provò né dolore né rimpianto. Con voce calma e stanca disse agli uomini di riposare prima di iniziare il ritorno verso la spiaggia, incontro all’imbarcazione che sarebbe venuta a prelevarli [When Croft finally caught up with the platoon, gathered them together, he discovered there were only three rifles and five packs left. They were through. He knew they could never make the climb again. He was too weak himself. He accepted the knowledge passively, too fagged to feel any regret or pain. In a quiet tired voice he told them to rest before they turned back to the beach to meet the boat]».

 

[20]. Cfr. soprattutto Merrill (1987), pp. 9-54, specie 10-6, in cui sono ben chiariti i rapporti fra Catch 22 e il romanzo di guerra (Heller ha più volte dichiarato di interessarsi più alla «bureaucratic authority» che non alla sgm in sé); importante anche Seed (1989), pp. 22-70, che propone vari confronti con romanzi americani e un’analisi degli stravolgimenti temporali di Catch 22; per le allusioni relative alla guerra in Vietnam, cfr. Hess (1994). In generale, sul Black-humor cfr. almeno Pratt (1993) e anche Safer (1988). Prima di quest’opera era uscito un altro romanzo sulla sgm assai singolare, The Cannibal di John Hawkes (1949), autore che è stato varie volte confrontato con Pynchon, specie per i procedimenti di sincronizzazione onirica (tanto che, per The Cannibal, si è parlato di «a single big dream»). Questo testo appare inserito nel genere del gotico, ed è impressionante per la costruzione allucinata e surreale della vicenda, ambientata nella Germania del 1945, ma anche del 1914; rimane però una continuità nel racconto, che ruota intorno al personaggio-narratore Zizendorf (cfr. Greiner, 1974).

 

[21]. Cfr. Catch 22, trad. it. p. 455. Vale poi la pena di accennare ad una sorta di continuazione di Catch 22, costituita dal recente Closing Time (1994; trad. it. Tempo scaduto, 1995): qui Yossarian viene definito «uno che avrebbe preferito morire piuttosto che essere ucciso [...] uno che aveva deciso di vivere in eterno, o morire semmai nel tentativo» (p. 13). Da questa continuazione si ricava in modo chiaro che la componente satirica, e più esattamente antimilitarista-burocratico, dominava nel primo romanzo: non si trattava di interpretare la sgm in sé, quanto l’assurdità del sistema organizzativo di ogni società contemporanea.

 

[22]. Cfr. Suvin (1979), specie pp. 19 ss., nonché la valida Introduzione alla traduzione italiana, pp. 5-23.

[23]. Cfr. Roberts (1994), anche per la bibliografia pregressa; per un’analisi dettagliata, cfr. pp. 40-61. La tecnica della riscrittura è senza alcun dubbio diversa da quella dell’accostamento non controllato (almeno in apparenza) di spezzoni o scarti, evidente in GR; in ogni caso, va sottolineato che queste modalità narrative non sono impiegate nei due romanzi in senso puramente ludico.

[24]. Molto altro ci sarebbe da dire per comprendere almeno in parte questo notevolissimo testo. Ci si dovrebbe ad esempio soffermare sulla funzione dell’iper-realismo, da intendersi come tensione verso l’oggettività, spinta all’estremo (cfr. p. 434); sulla strutturazione per rinvii analogici (sul modello dell’Arte della fuga); sul valore di iniziazione filosofica da assegnare alla letteratura; ecc.

[25]. Cfr. Pettersson (1994), specie pp. 233-80, anche per la bibliografia pregressa: viene qui ben analizzato il rapporto tra parte storico-autobiografica e parte fittizia, nonché il problema del determinismo. Per un confronto tra Vonnegut e Pynchon, cfr. Blackford (1985).

[26]. Sarebbe interessante analizzare la serie di rinvii interni al testo, grazie ai quali si capirebbe, specie nel finale, che molte sensazioni o ricordi di Billy trovano la loro origine nelle esperienze vissute durante l’esperienza di Dresda. Da notare anche che la chiusa (p. 206), che ripropone un singolare commento al massacro (cfr. p. 24), si propone pure come avvertimento contro le guerre in corso, in particolare quella del Vietnam. Per questi aspetti cfr. almeno Pettersson (1994), pp. 274-80.

Un ultimo confronto si potrebbe effettuare con Martin Amis, Time’s Arrow  (1991; trad. it. La freccia del tempo, 1993) come ulteriore fase (assai più stanca). Viene sviluppata la già citata idea di Vonnegut della guerra vista come un film a ritroso; la trama rimane lineare, ancorché invertita, e porta a ricostruire le vicende biografiche di Tod Friendly, che si scopre essere il medico di Auschwitz Odilo Unverdorben. Prevale il genere del giallo, o quanto meno l’investigazione su un caso oscuro, al posto di quello fantascientifico. Ma l’insieme, per quanto non privo di passi riusciti (cfr. in particolare le pagine sulla natura escrementizia del lager: nella traduzione italiana, pp. 123, 131, 143, 149), appare un po’ troppo manieristico e ricercato. Per ulteriori esempi si veda il capitolo Altre considerazioni.

[27]. Non trattiamo qui il vasto côté della narrativa apocalittica-catastrofista, che ha prodotto numerose opere a partire dagli anni Cinquanta, e che pare abbia un’attinenza solo superficiale con GR: cfr. almeno Robson (1994). Quanto ai possibili confronti con film realizzati nel secondo dopoguerra, interessante potrebbe essere quello con Dr. Strangelove (1964; trad. it. Il dottor Stranamore) di Kubrick. Esso appartiene senz’altro al filone del black humor, ed è per più aspetti accostabile a Heller, anche perché prevalgono la comicità pura e la satira più esplicita. Ma anche in questo caso il finale, con il valzer del Bel Danubio blu che commenta un balletto di funghi atomici ripresi dal vero, costituisce un memento assai forte (tuttavia risultati ben più significativi sono raggiunti in Full Metal Jacket, 1987, su cui si tornerà nelle Conclusioni). Quanto poi alle arti visive, suggestivo l’accostamento tra Pynchon e Roy Lichtenstein. La funzione della forma di iperrealismo implicita nei suoi mega-fumetti è chiara: tutta la realtà, nella sua pop-art, assume effetti fumettistici di secondo (o terzo) grado.