Sulla critica letteraria attuale
E’ in corso di preparazione per l’editore Il Mulino una nuova edizione del volume di Alberto Casadei sulla critica letteraria novecentesca e contemporanea. Se ne anticipa qui qualche riflessione conclusiva.
L’espansione incontrollata del concetto di letteratura può aver generato secondo alcuni una sua perdita d’identità: le propensioni all’analisi dei contenuti o temi letterari, soprattutto in forma comparatistica, sono d’altra parte un sintomo della possibile vitalità della critica, altrimenti difficilmente incisiva in uno sviluppo sociale e artistico che tende a privilegiare le forme visive e grafiche. In questo contesto, si sono però avviate proprio nel nuovo millennio interazioni originali che conducono a reinterpretare in primo luogo gli aspetti di teoria letteraria, in rapporto a una visione della società contemporanea non subordinata all’inevitabilità dell’uniformazione globale, senza peraltro cedere a tentazioni conservatrici e vetero-umanistiche; in secondo luogo, soprattutto grazie ai nuovi impulsi ricavabili dalle scienze cognitive, vengono riesaminati concetti di lunga durata, dall’inventio allo stile, dalla disposizione narrativa alla produttività extralinguistica della poesia lirica. Proviamo qui almeno a segnalare alcuni fenomeni rilevanti.
Le nuove tecnologie stanno cambiando più o meno velocemente le modalità di produzione e di ricezione della letteratura. Benché per ora resistano i fondamenti della concezione letteraria moderna, non mancano segnali di evoluzioni che potrebbero ad esempio condurre a una decisa fusione dei testi scritti con quelli visivi (possibile grazie ai nuovi ipertesti), con conseguenti modifiche dello statuto stesso dell’opera letteraria, d’altronde da tempo in discussione. Su questi problemi si erano soffermati già gli studiosi dei mezzi di comunicazione di massa (come i citati M. McLuhan e W.J. Ong), ma essi sono ora oggetto di lavori più specifici come quello di George P. Landow su L’ipertesto (1992, 19972 e ora, solo in edizione inglese, Hypertext 3.0, 2006). L’autore, docente di inglese e storia dell’arte alla Brown University, sostiene che la nuova tecnologia informatica porta a compimento le teorie tardo strutturaliste e decostruzioniste, in particolare quelle di Barthes sulla divisione in lessìe dei testi (vedi S/Z, citato nel cap. II), di Foucault sulla morte del soggetto, di Deleuze sulla struttura rizomatica, e soprattutto di Derrida: la linearità, la costruzione unidirezionale, la proprietà autorale del testo sono concretamente superate dagli ipertesti, che propongono appunto una configurazione pluridimensionale e addirittura modificabile da parte del lettore.
Landow parla in effetti di una svolta copernicana generata dall’ipertesto, perché esso non sarebbe in alcun modo riconducibile a un’elaborazione personale, alla progettualità del singolo scrittore o critico, ma richiederebbe invece una funzione attiva del lettore, che diventa coautore nel momento in cui gli viene concessa la possibilità di variare on-line il testo che ha davanti, aggiungendo parti non previste e rendendo così irriconoscibile l’ideazione iniziale. Se si vuole, si potrebbe pensare a un ritorno alla narrazione dei rapsodi, continuamente modificata nella sua fase orale (qui sostituita da una scritta in Internet), sino al fissarsi di una versione autorevole, ossia «attribuita a un autore» come Omero. In questa fase informatizzata non sembrerebbe però possibile delimitare le potenzialità espansive dell’ipertesto, che crescerebbe libero dal condizionamento della personalità dell’autore ma anche dalle censure di qualsiasi autorità: e infatti Landow dedica i suoi capitoli principali alla «riconfigurazione» dell’opera, dell’autore, della scrittura, della narrativa e dello studio della letteratura, ma conclude il lavoro trattando la questione «politica» del controllo del testo.
è evidente che la prospettiva della modificazione inarrestabile di un ipertesto e della sostanziale unificazione delle funzioni autore/lettore appare piuttosto dirompente anche rispetto alle «vecchie» teorie del decostruzionismo. Va altresì detto che le attuali realizzazioni, a livello di elaborazione secondaria (ad esempio le numerose enciclopedie multimediali), o, soprattutto, primaria (gli ipertesti narrativi e poetici), non paiono così sconvolgenti come Landow sostiene. Di fatto, l’arricchimento dell’informazione – grazie all’integrazione del visivo e del sonoro nella pagina scritta, e grazie alla possibilità di seguire percorsi diversi per la lettura o interpretazione dell’ipertesto – non elimina un fattore ancora fondamentale, ossia la stabilità del contenuto trattato, che rimane intrinsecamente costituito da una serie di dati o di presupposti di partenza immodificabili. Detto questo, è però certo che le teorie sulla nuova «iperletteratura», generata direttamente nella rete Internet grazie all’apporto multiculturale di coautori addirittura anonimi, rispondono agli interessi sia dei poststrutturalisti sia degli studiosi in vari modi afferenti ai Cultural studies: e si contano già proposte sulla critica dell’èra informatica, dalle riletture del passato (E. Aarseth, Cybertext, 1997) ai sondaggi sul presente e il futuro (M. Joyce, Of two minds: hypertext pedagogy and poetics, 1995).
Anche sullo sfondo di questo scenario, la scrittura narrativa e poetica mantiene una sua dimensione conoscitiva proprio in confronto alla televisività e alla virtualità, e si propone come interpretazione autonoma: la critica letteraria dell’ultimo scorcio del Novecento ha privilegiato il riconoscimento dei contenuti originali, ma ha forse trascurato troppo la realizzazione stilistico-formale di quei contenuti. Occorrerà allora ripensare ad alcune categorie fondamentali del fare letterario (a cominciare dall’opposizione «realistico/fittizio» dopo il cambiamento del loro statuto nell’epoca della visual culture e della virtualità da second life), che consentono di riesaminare il modificarsi dei temi in rapporto alle fasi di un’evoluzione storico-artistica, necessariamente ormai diversificata a seconda delle culture e dei territori di origine.
È in questa prospettiva che acquistano peso le nuove ricerche di carattere teorico, spesso legate agli sviluppi di settori delle scienze cognitive. Da ormai vari anni si è sviluppato un filone della linguistica distinto dalle formulazioni strutturaliste e generativiste, basate su opposizioni binarie e su analisi prevalentemente sintattiche: questo filone cognitivista ha trovato in George Lakoff un esponente di primo piano, che ha riconosciuto la valenza fondativa della costruzione metaforica nel pensiero e nel linguaggio umani. Dopo saggi ormai celebri, come Metafora e vita quotidiana (1980), Lakoff e altri studiosi, come Mark Johnson, Mark Turner o Gilles Fauconnier, hanno esaminato sempre più da vicino gli ambiti della creatività letteraria e artistica, focalizzando concetti ormai fondamentali, come quello di blending, che consente di esaminare meglio le forme di fusione concettuale che generano le forme metaforiche. Numerosi altri studi hanno invece cominciato a interpretare meglio le modalità di risposta agli oggetti d’arte, a cominciare da quelli visivi, ma con interessanti approfondimenti anche in ambito narrativo: vanno in questo senso segnalate le indagini di uno degli scienziati che hanno individuato gli ormai celebri ‘neuroni specchio’, Vittorio Gallese, impegnato da tempo in sondaggi sulla simulazione incarnata (embodied simulation) che si crea in ogni fruitore di opere d’arte, comprese le storie raccontate.
Questi e numerosi altri saggi, che si possono inserire nel settore della Poetica cognitiva (Cognitive poetics), già consistente soprattutto nei paesi anglosassoni, possono permettere di cominciare a reinterpretare in modi più integrati aspetti sinora delegati a modalità euristiche piuttosto divaricate, come la linguistica, la retorica, la narratologia ecc. Molto fruttuosi si annunciano le nuove teorizzazioni su questioni come quella dello stile (un concetto pienamente interdisciplinare), della trama e dei suoi effetti, del ritmo e della sua funzione ordinatrice ecc. Senza mai dimenticare gli adeguati inquadramenti storici, studi generali su queste problematiche possono consentire una nuova alleanza fra letteratura, arte e scienze, in virtù di una teorizzazione non rigida (ma nemmeno eccessivamente blanda, come accade in varie forme di studi culturali) e di un tentativo di chiusura effettiva del circuito autore-testo-fruitore (per una bibliografia, si vedano almeno di A. Casadei Poetiche della creatività, 2011, e di S. Calabrese Retorica e scienze neurocognitive, 2013). Ciò dovrebbe consentire anche di arrivare a una più raffinata individuazione di tratti stilistici specifici tanto da un punto di vista culturale quanto da uno geografico, allo scopo di non appiattire in una globalità indifferenziata le sfumature che contraddistinguono ogni prodotto artistico degno di interesse. Se la critica si orienterà a rileggere in profondità e a reinterpretare secondo nuovi paradigmi i caratteri artistici e letterari di ciascuna tradizione, esaminata in rapporto alle più affini ma anche alle più lontane, si potrà forse realizzare quella funzione etico-dialogica che molti oggi continuano ad attribuire all’arte e specialmente alla letteratura, tanto da garantire una sua necessità nel mondo della comunicazione visiva e informatizzata.