Letteratura e critica nell’epoca di internet
Queste pagine faranno parte del volume di Alberto Casadei Letteratura e controvalori, in uscita per l’editore Donzelli nel mese di settembre 2014.
La militanza e la tradizione, oggi
1. In qualunque periodo storico-culturale operi, un critico deve prima di tutto riconoscere dei valori che gli sembrino significativi in rapporto al passato e al presente, e che possano durare anche per le generazioni future. La correttezza sta, in primo luogo, nel difendere con coerenza i tratti che, sulla base della sua esperienza e della sua posizione nel campo di forze letterario, il critico considera importanti in un’opera: ciò vale tanto per quelle canonizzate quanto per quelle appena uscite.
Non credo quindi che si debba essere per forza manichei: la difesa di un valore dovrebbe riguardare, per esempio, Tolstoj quanto DeLillo, se si considerano questi due narratori altamente rappresentativi della loro epoca. Si dovrebbe evitare di misconoscere valori evidenti solo perché non li si ritiene adeguati sulla base di poetiche precostituite: magari io amo Proust più di Joyce o di Mann, ma non mi posso permettere di disconoscere l’importanza e la specificità dei loro modelli di letteratura. Posso invece essere certo che, alla distanza, un modello vince su un altro: è il caso di Dante, per secoli perdente in un confronto (improprio) con Petrarca, ma adesso considerato decisamente più significativo per la sua capacità di immaginare e rappresentare una realtà ben più complessa rispetto alla somma dei suoi singoli addendi, mentre gli aspetti psicologici e stilistici del Canzoniere sono del tutto riassorbiti e ridotti a un territorio circoscritto nell’immaginario della lirica moderna.
Il critico deve essere fedele a questo tipo di militanza: non quella di chi sta in uno schieramento ma quella di chi va in missione per (ri)scoprire aspetti fondamentali del fare letteratura nella sua epoca e per la sua epoca. L’eclettismo è però da evitare: e ci si riesce se si hanno chiari alcuni obiettivi. Il primo dovrebbe essere la difesa di opere che, nell’attuale ciclo di esplosioni di casi-del-momento seguite da un oblio totale dei medesimi, il critico ritiene che siano degne di essere rilette e reinterpretate quando saranno fuori moda.
Quanto alla genesi del ‘magistero’ critico, una posizione tardivamente freudiana (l’aggettivo ha valenza metonimica) sul rapporto padri-figli o maestri-discepoli vada definitivamente superata, non perché non esistano conflitti generazionali, angosce dell’influenza ecc., ma perché su questi meccanismi dell’inconscio sappiamo ormai molto e rischiamo di esibirli come giustificazioni o spiegazioni di fenomeni che sono altri o di altro tipo. (È quello che avviene, in un altro campo, quando qualcuno continua a invocare la nostra inesperienza come condizione ineliminabile, usando categorie benjaminiane in modo ormai pedissequo e senza considerare quanto del presente ci sfugge solo perché non si osa guardarlo in faccia per quello che è).
Il rapporto con la tradizione è una necessità, non una costrizione. L’importante è sapere quali aspetti possiamo rinnovare per andare comunque oltre il passato, uscendo dalla concezione monumentale della storia. I maestri, ora, non sono i depositari di un sapere stratificato o, nei casi peggiori, accumulato: ciascuno può conoscere tantissimo senza bisogno di maestri, bastano internet e le tecniche di apprendimento reticolare e libero anziché lineare e gerarchizzato.
Ma quello che i veri maestri possono ancora insegnare è perché, per loro, determinate opere sono fondamentali, al di là della collocazione in un’asettica sequenza cronologica. La storia della tradizione si deve coniugare con la capacità di interpretare gli aspetti cognitivi nascosti nelle opere di lunga durata che chiamiamo classici: il mondo dell’aldilà dantesco non è solo la sintesi di nozioni già conosciute, ma è l’espressione di una visione plastica della realtà, come notava Eliot. Acquisita una nozione fondamentale come questa, adesso dobbiamo fare altri passi e notare, per esempio, che la creazione del Paradiso è il frutto di uno sforzo sulle potenzialità del pensiero e dello stile, che corrisponde a molte prerogative dell’attività cognitiva profonda, prerazionale, così come adesso cominciamo a concepirla: la plasticità è frutto di un’elaborazione che ora possiamo indagare meglio.
Intuiamo insomma nuovi motivi per cogliere la sublimità dell’ultima cantica, già in qualche modo accertata a livello linguistico (e certo tale da far capire perché Commedia non poteva essere il titolo generale dell’opera), ma ancora da verificare in tutte le sue potenzialità appunto di pensiero. Ecco, se non avessimo avuto maestri come Eliot, o Auerbach o Contini ecc., che ci hanno fatto apprezzare aspetti fondativi del poema dantesco in linea con il gusto e la sensibilità novecentesche, non potremmo adesso cercare nuove vie per trovare ulteriori motivazioni della sua grandezza.
2. Avvicinandoci al rapporto fra militanza e critica ‘accademica’ nell’epoca di internet, cominciamo con qualche considerazione generale. A livello astratto, non ci dovrebbe essere nessuna differenza fra l’interpretazione di un classico e quella di un’opera appena uscita. (Discorso diverso è quello della maggiore o minore dignità di impegno scientifico, filologico, erudito dedicato a un testo piuttosto che a un altro: varrebbero qui alcune bellissime considerazioni dell’Auerbach di Filologia della letteratura mondiale su come individuare un argomento degno di studio: cfr. Auerbach 1952). Naturalmente però sappiamo tutti che, nella valutazione di un testo recente, valgono una serie di componenti ‘circostanziate’, che toccano la configurazione del campo di forze letterario: prestigio dell’autore, importanza della casa editrice, sostegno di uno o più critici autorevoli, successo di pubblico, presenza in internet (dai blog ai social network ecc.). Si può uscire da questi presupposti quando si valuta un’opera? Molto spesso no, a meno di non entrare in uno spazio sufficientemente libero di discussione, la quale però, per avere un’efficacia, dovrebbe poi contare su un pubblico esperto e dinamico pronto a recepirne gli esiti.
Si dovrebbe qui cominciare a valutare l’impatto della rete-web sulla critica militante e accademica: un problema che verrà approfondito più oltre (§ 3). Intanto va notato che sono state potenziate, a partire del XXI secolo, le modalità di diffusione delle informazioni, permettendo l’aggregazione di gruppi più o meno coesi, per esempio per discutere di opere di attualità o addirittura in progress. È evidente che alcune forme di attenzione ai testi, tipiche della cultura ‘lenta’, umanistico-classicista, sono definitivamente scomparse dall’orizzonte di chi considera prioritario il continuo modificarsi delle pagine web.
Certo, il critico-critico deve sapere che, alla fine, la sintesi delle sue riflessioni andrà discussa anche in rete, ma non deve sintetizzare quanto proviene dalla rete, bensì un’idea interpretativa che dimostri una sua precedente coerenza. I metodi dovrebbero, finalmente, essere svecchiati, messi al passo (non al séguito) degli ambiti di ricerca cognitivisti, in analogia con quanto già avviene nella linguistica e nella critica d’arte: ma occorre una riflessione ampia e sistematica, che ancora non riesce ad avvenire direttamente in rete.
3. Approfondiamo alcuni spunti precedentemente enunciati. In prima istanza, quando avviene una rivoluzione di tipo tecnologico bisogna sforzarsi di focalizzare quali sono le potenzialità che vengono modificate. In questo caso le caratteristiche del web in rapporto alla diffusione e alla critica della letteratura sono chiare: un primo valore aggiunto è l’immediatezza delle proposte e delle reazioni; un secondo è la mancanza di una gerarchia prestabilita; un terzo è l’ampiezza dei possibili utenti.
Tutti questi aspetti cominciano a modificare fortemente il circuito letterario così come era concepito almeno dalla diffusione massiccia della stampa. Intanto, la possibilità di pubblicazione era molto più controllata, e comunque soggetta a immediate discriminazioni (per esempio il prestigio dell’editore o della collana ecc.). Poi era evidente la mediazione del giudizio critico, che almeno sino agli anni Settanta consentiva non tanto un aumento delle vendite (fattore soggetto a troppe variabili), ma di sicuro l’inserimento o meno in un canone di autori interessanti, importanti, degni di entrare in una storia della letteratura ecc. Infine, l’interpretazione ‘autentica’ era riservata a critici di ampie competenze, spesso accademici (ma non sempre), e comunque portati molto più a collocare gli autori in una prospettiva di lunga durata che non a discutere questioni del tutto contingenti e semmai abbastanza casuali.
L’allargamento dello spazio letterario è ormai un dato ineliminabile e del tutto congruo con una fase dell’espansione del sistema capitalistico che porta a una valutazione paritaria di opere nate in ogni parte del mondo, e di fatto a sostituire un criterio di successo pervasivo a uno di valore assoluto e, in una prospettiva umanistica, duraturo. Da questo punto di vista, le discussioni nei blog possono avere due valenze: quella di amplificare il successo immediato di un’opera, addirittura decretandolo contro gli insuccessi sanciti dalle case editrici o dai critici di professione; oppure quella, spesso molto più positiva, di sostenere opere che non hanno possibilità di avere un ampio pubblico attraverso la distribuzione del cartaceo, perché pubblicate da piccoli editori ecc.
È notevole, a livello sociologico, che molti dei personaggi letterari più noti nella rete non vengano dal mondo accademico, svolgono spesso un’attività come giornalisti ma sono prima di tutto blogger, a volte non hanno al loro attivo pubblicazioni prima di diventare animatori di un sito. In questi casi, la rapidità e la frequenza degli interventi, la nettezza delle idee esposte, magari la carica polemica sono molto più importanti rispetto a una rielaborazione. Di fatto, nella rete è molto difficile definire valori duraturi: occorrono correttivi perché i valori davvero condivisi diventino valori criticamente stabiliti, e questa è un’opera di lunga durata, irriducibile al fast-blog. La rete insomma sembra portare le opere letterarie e le riflessioni critiche a una condizione di parità apparente, mentre invece crea nuovi tipi di ‘rendita di posizione’.
Per modificare la situazione italiana, sarebbe indispensabile creare, già a livello scolastico, consapevolezze molto più forti riguardo ai valori e disvalori nella letteratura contemporanea: tutto ciò implica un lavoro preventivo rispetto alle discussioni nei blog. Occorrerebbe poi un ambito di discussione meno entropico, benché sempre aperto alle suggestioni di chi vuole seriamente partecipare: una nuova comunità critica deve poter accogliere input da chiunque, senza che chiunque pensi di sostenere posizioni dominanti per mere ragioni quantitative (la maggior assiduità ecc.). Non a caso la rete non riesce a far sviluppare una teoria della letteratura, mentre genera e sostiene singole poetiche.
Ma sui modi di accertamento del nostro sapere letterario ci sarebbe molto di più da fare che non ripetere schemi interpretativi ormai usurati: interrogarsi su questioni di fondo è oggi ancor più essenziale che negli anni Sessanta, perché in effetti dall’enorme discussione nella rete paradossalmente non emerge il nuovo-nuovo, bensì il nuovo-condizionato. Solo rilanciando la riflessione su temi forti si può sperare di trovare una forma di sintesi più alta, che tenga conto del fruttuoso caos della rete senza essere caotica. La nuova critica avrà bisogno di ampiezza, velocità, connettività… però messe in atto in opere che non devono risultare la fotocopia dei blog attuali, bensì la loro reinterpretazione sulla base di un’idea di letteratura che permetta di collocarla, come direbbe Wallace Stevens, nel centro esatto della nostra cultura.