La stilistica cognitiva e le competenze letterarie nella scuola secondaria
Viene proposto qui l’inizio di un modulo di Alberto Casadei che verrà impiegato in un nuovo Master erogato dall’Università di Roma Tor Vergata per fornire un quadro delle competenze letterarie da acquisire durante gli studi secondari superiori. Sull’argomento da tempo sta lavorando l’Associazione degli Italianisti Italiani – Sezione Scuola, con il coordinamento dei proff. Pasquale Guaragnella e Natascia Tonelli.
La letteratura e le scienze cognitive
1.1. Che cosa sono e come operano le scienze cognitive
Per scienze cognitive intendiamo l’ampio gruppo di discipline che si occupa dei modi con cui un’entità naturale o artificiale acquisisce o crea forme di conoscenza. L’ambito privilegiato di indagine è stato ed è quello della mente umana, che ormai viene considerata inseparabile dal suo supporto fisico, il cervello, o addirittura dalla sua condizione embodied (‘incorporata’ o ‘incarnata’): l’essere parte di un corpo che interagisce verso l’interno (sfera dell’interiorità) e verso l’esterno (sfera del mondo fisico o della realtà) viene ora considerato un requisito fondamentale per l’interpretazione del funzionamento cerebro-mentale e quindi dell’acquisizione e produzione di cognizioni.
Non tratteremo qui dei tanti aspetti prettamente neurologici o comunque tecnici collegati alle sperimentazioni cognitiviste, né delle implicazioni epistemologiche e filosofiche delle ricerche in corso, ancora per molti aspetti da sistemare in quadri stabili e coerenti (per notizie di base e altre informazioni, si vedano le opere citate nella Bibliografia generale). Ci soffermeremo invece sui motivi che hanno spinto negli ultimi decenni molti studiosi di scienze della mente a occuparsi anche di arte, e in particolare di letteratura, creando un fruttuoso rapporto di collaborazione con critici e studiosi di formazione umanistica, in particolare nel settore cosiddetto della Cognitive poetics o Cognitive stylistics (‘Poetica o stilistica cognitiva’: d’ora in poi, CP), che vanta ormai una buona tradizione soprattutto nei paesi anglosassoni.
1.2. Dallo strutturalismo al cognitivismo
Una delle spinte fondamentali allo sviluppo delle scienze cognitive attuali fu la constatazione, soprattutto a partire dai primi anni Ottanta, che il paradigma strutturalista risultava troppo rigido per una corretta interpretazione di molti fenomeni cerebro-mentali. L’opposizione binaria, quella in genere schematizzata con la formula A vs B, corrispondeva bene alle formulazioni logico-matematiche e all’idea di un cervello paragonabile a un computer (il cui linguaggio era non a caso fondato sull’opposizione 0-1, di fatto identica alla precedente); ma quando si trattava di esaminare le gradazioni e le sfumature dei fenomeni, questo paradigma risultava poco flessibile: in ambito letterario, ne è testimonianza la formulazione più rigida dei vari tipi di quadrati semiotici, per esempio ricavabili dalle teorie di Claude Bremond e Algirdas J. Greimas.
Un importante momento di svolta è stato segnato dalla pubblicazione del volume Metaphors we live by (1980, nuova edizione 1998; trad. it. Metafore e vita quotidiana 2004) del linguista George Lakoff e del filosofo Mark Johnson. In particolare Lakoff sosteneva che esistono elementi linguistici irriducibili alla rete di opposizioni di tipo strutturalista, elementi interpretabili come metafore fondamentali o più esattamente concettuali: si tratta di quel tipo di metafore che ci fa comprendere un dominio dell’esistente attraverso l’interazione con un altro dominio, per esempio nel caso di affermazioni come La vita è un viaggio o L’amore è una guerra (l’uso del maiuscoletto contraddistingue questo tipo di metafore). Lakoff sostiene che, nel linguaggio, non si hanno altri modi per esprimere queste nostre credenze, e quindi tutte le lingue umane si fondano su una metaforicità diffusa e non percepita, perché non sostituibile: quando diciamo che la “Borsa sale (o scende)” impieghiamo questo paradigma senza bisogno di spiegazioni proprio perché tutti noi sentiamo come naturale che un andamento positivo vada verso l’alto e uno negativo verso il basso. A dire il vero, in questo processo andrebbero inserite anche nozioni prettamente culturali, ma la sostanza del discorso non verrebbe modificata in modo radicale.
In seguito al largo riscontro alle sue tesi, che ponevano in discussione vari fondamenti della linguistica strutturalista e generativista, lo stesso Lakoff e lo scienziato e filosofo cognitivista Mark Turner scrissero un volume specificamente dedicato alla metafora in poesia (More than cool reason: a fielde guide to poetic metaphor, 1989), nel quale si sostiene che il pensiero e il linguaggio poetico sono una sorta di potenziamento di quelli quotidiani: “Poetic language uses the same conceptual and linguistic apparatus as ordinary language” (ivi, p. 158). Concezioni come questa servirono come trampolino di una specifica corrente della CP, nella quale gli strumenti della linguistica cognitiva sono largamente impiegati per (ri)classificare fenomeni ben noti sin dal tempo della retorica classica e poi di quella strutturalista (sulla scorta delle concezioni di Roman Jakobson, per vari decenni molto fortunate e riutilizzate). In questo caso, metafore, metonimie, sinestesie, iperboli ecc. vengono sondate dal punto di vista della loro valenza testuale e contestuale, per costruire paradigmi interpretativi che tengano conto delle gradualità o scalarità, ovvero della loro maggiore o minore vicinanza a un prototipo, e non solo della loro opposizione ad altri elementi del sistema linguistico.
Pur tenendo conto di questa prospettiva, altre tendenze hanno sottolineato che il lavoro creativo per ottenere una metafora poetica può essere ben più complesso rispetto a quello, in genere chiaro ed evidente, della metaforicità diffusa. Anche se il nucleo generativo è comune, in un testo di letterario l’uso linguistico viene spesso stravolto, per esempio quando in poesia si ricerca volutamente l’oscurità. Ciò serve a mettere in rilievo un altro assunto tipico delle scienze cognitive, e cioè che anche il linguaggio è generato da una base biologico-corporea, che non si può restringere all’uso razionale delle strutture comunicative nelle varie lingue (le grammatiche), e può essere sondata, proprio attraverso le arti, per esprimere il fondo inconscio che soggiace a ogni individuo umano. Questo tipo di inconscio si può definire cognitivo per distinguerlo da quello sondato dalle psicanalisi, che s’interessano soprattutto delle sue patologie traumatiche. Viceversa, una componente inconscia è sempre presente in ogni ambito della vita umana, e sicuramente interviene nel momento di massima creatività, sia artistica che scientifica (nella quale le traumaticità sono spesso coinvolte, ma in modi indiretti e complessi). A questo processo si possono per vari aspetti ricollegare le diverse tipologie di stile, concetto su cui torneremo per sottolineare alcune differenze che oggi si cominciano a cogliere rispetto alla sua concezione novecentesca (per approfondimenti, si vedano Alberto Casadei, Poetiche della creatività. Letteratura e scienze della mente, Milano, B. Mondadori, 2011; Stefano Calabrese, Retorica e scienze neurocognitive, Roma, Carocci, 2013).