Assiomi, 4. Critica dell’inesperienza
Questo articolo fa parte di una serie di Assiomi pubblicati anche sul sito Le parole e le cose.
- 1. L’incapacità di trasmettere la propria esperienza è stata postulata, all’inizio del XX secolo, soprattutto da Benjamin, suggestionato dal trauma delle lotte in trincea avvenute durante la Prima guerra mondiale, trauma allora considerato estremo e, appunto, indicibile.
- 2. Nel corso del XX e del XXI secolo l’esperienza della guerra è stata invece riproposta in varie e molteplici forme, dai diari alle narrazioni a sfondo autobiografico a romanzi e film a opere d’arte ecc.; essa è diventata poi la base per romanzi che la riprendono, in forma indiretta, per comprenderla attraverso le sue conseguenze, come avviene in un testo notevolissimo quale Vedi alla voce: amore di David Grossman.
- 3. Si deve allora tornare a riflettere sui limiti che vogliamo attribuire al concetto di esperienza, e anche sul rapporto che tale esperienza, antropologica e individuale, può avere con la creazione di un’opera.
- 4. L’esperire, ovvero il conoscere a molteplici livelli, il mondo interno ed esterno al singolo è un fatto naturale e culturale assieme. Le scienze cognitive stanno dimostrando che la propensione al costruire legami si fonda non solo sulle azioni dirette, che avvengono continuamente nella lunga fase di ontogenesi, bensì pure su quelle indirette di ogni tipo. In altri termini, non si può non esperire, né l’immaginare l’esperienza è meno significativo dell’averla provata.
- 5. L’inesperienza non è concepibile nel fare artistico: se è diventata tema, ciò è avvenuto per motivi storici e sociologici da analizzare in dettaglio, ma certamente non accettabili a livello ermeneutico.
- 6. L’esperienza che interessa l’arte è comunque quella ri-vissuta, a qualunque livello. Nell’interpretazione del concetto di Erlebnis, il ri-vivere è condizione fondamentale: è necessario comprendere a un secondo livello ciò che la nostra biologia, in qualunque modo, ha sperimentato a un primo. Questo processo è essenziale per concepire una trasmissione di sapere che progressivamente diventa cultura.
- 7. Anche le opere d’arte, in quanto forme stilizzate di elementi emotivi-cognitivi, si collocano negli ambiti sopra indicati. La loro caratteristica di fondo, l’intrinseca dignità di essere tramandate per una nuova fruizione, le accomuna da un lato al patrimonio trasmesso per filogenesi, dall’altro all’ontogenesi incarnata (embodied) in ogni singolo individuo. L’esperienza trasmessa deve però risultare significativa anche per altri uomini, ed essere realizzata in una forma che possieda uno stile, tale in primo luogo da attrarre la compartecipazione, e poi la spinta a comprendere sempre meglio (basilare nella ricezione dei classici).
- 8. La mimesis dell’esperienza entra a pieno titolo nel territorio ampio della creazione artistica, e le sue gradazioni vanno dall’imitazione passiva, ovvero dal mero resoconto privo di qualunque stile, alla variazione-riadattamento, che implica una traduzione attiva e stilisticamente marcata dell’inventio generatrice.
- 9. L’esperienza ri-vissuta serve come innesco di un’azione creativa che si può tradurre in situazioni a volte vicine alla verità autobiografica, a volte del tutto distanti da essa. Io posso formarmi un’idea della guerra, e poi eventualmente scriverne, pur non avendo partecipato a specifici eventi bellici: se leggo Tolstoj (che niente aveva esperito delle battaglie napoleoniche in Russia, e quindi parlava sì di quelle ma in termini universali e non cronachistici), Jünger, Fenoglio o Simon posso diventare consapevole di cos’è una battaglia molto meglio di quanto non abbia fatto, per rimanere nella fictio romanzesca, Fabrice del Dongo a Waterloo.
10. Ovviamente, la ricezione delle opere può produrre una discriminazione fra il resoconto di un testimone, la rielaborazione letteraria compiuta da un autore-testimone, l’autofiction, la pura finzione ecc. Si tratta di condizioni che vanno salvaguardate e che risultano fondamentali per gli storici e i sociologici. A livello letterario, tuttavia, noi non ci chiediamo se il narratore collettivo che chiamiamo Omero ha preso parte alla guerra di Troia, come potevano fare ancora alcuni scrittori greci. Sappiamo che la sua elaborazione di quell’evento, sintesi di tante altre parziali, ci trasmette un’idea complessa dell’esperienza della guerra, nel tempo in cui il destino del singolo aveva un senso solo in rapporto a quello del suo popolo. Nella lunga durata, interessa che l’elemento esperienziale sia parte di una costruzione letteraria che possiamo leggere come ‘realismo allargato’ (su cui si vedano gli Assiomi 2).
11. La letteratura trasmette forme di conoscenza del mondo che si basano sulla totalità di esperienza di un individuo, diretta e indiretta, purché ri-vissuta, ovvero ripensata, reinterpretata, rielaborata secondo uno stile. Invocare l’inesperienza come condizione propria della postmodernità è un equivoco o un tentativo di giustificare un vuoto di inventio e di stile.
12. È vero invece che la trasmissione scritta (narrativa e poetica) deve ora essere in grado di produrre non solo forme di demistificazione del ‘falso’ ideologico-massmediatico, come si è fatto soprattutto a partire dal 2001, ma anche forme integrate di rappresentazione della nostra attuale idea di realtà e di storia, che tengano conto dell’esperienza ricavata solo attraverso il ‘visuale’.
13. Attualmente, non fa buone opere letterarie chi si limita a enunciare uno stato traumatico vero o presunto (fenomeno peraltro non solo attuale), bensì chi riesce a ricomprendere nella sua inventio l’enorme parte di instabilità che ciascuno di noi introietta proprio per la continua percezione di immagini-e-parole, ovvero di immagini commentate, inserite in un flusso apparentemente caotico e invece, spesso, prestabilito, che in ogni caso è incontrollabile da un singolo individuo. Proprio per questo, è ancora più necessaria la stilizzazione artistica e letteraria, che renda esperienza reinterpretabile il mondo della vita diventato coacervo di informazioni.