Letteratura e etica
Con il movimento romantico, e poi più nettamente con le avanguardie primonovecentesche, è stato sancito un principio che ha caratterizzato buona parte dell’arte contemporanea, ovvero quello della separazione tra etica ed estetica nella creazione di un’opera. La volontà di assicurare una libertà assoluta all’ideazione dell’artista doveva portare alla subordinazione del piano dei contenuti rispetto a quello della forma o espressione; dal canto suo, il fruitore non doveva giudicare i primi secondo stereotipi ma lasciarsi guidare dall’aspetto stilistico, e soprattutto dalla sua novità o trasgressione. Su queste basi, in letteratura, almeno sino al secondo dopoguerra gli scrittori hanno considerato necessario evitare qualsiasi regola esterna nella scelta dei loro argomenti: quando questo veniva fatto per imposizione politico-ideologica (basti pensare allo zdanovismo del periodo staliniano), i testi risultavano datati e limitati secondo la critica più à la page.
Dopo la svolta della seconda guerra mondiale, in particolare dopo la scoperta dei Lager come espressione del male radicale che può essere raggiunto dall’uomo, i cambiamenti non sono mancati. Le scelte avanguardistiche non sono state più le uniche possibili, e anzi molte delle opere letterarie maggiori hanno manifestato un rapporto rinnovato con la tradizione e con le grandi forme che essa continuava a proporre, dall’epica all’apocalisse, non a caso attive in romanzi come Il partigiano Johnny di Beppe Fenoglio o Vita e destino di Vassilj Grossman o Doktor Faustus di Thomas Mann. Per un lungo periodo la maggior parte della critica ha continuato a privilegiare gli aspetti strettamente formali-costruttivi dei testi, sino alla fase citatorio-parodica del postmodernismo degli anni Ottanta. Ma nel contempo si andavano affermando altri filoni, che cercavano per esempio nuovi aspetti di realismo nelle opere nate in un contesto viceversa ormai ‘de-realizzato’, nel quale vita vissuta e immagini cinematografiche e televisive parevano confondersi.
In questa situazione emergono le nuove tendenze della critica, in cui l’interesse per i temi non è necessariamente subordinato a quello per le elaborazioni stilistiche, e l’apporto del lettore non è sempre filtrato da rigide griglie. L’aspetto positivo delle letture (come quelle dei cosiddetti cultural studies) che esaminano in primo luogo i contenuti etnici, antropologici, ideologici, ecc. è quello di una rivitalizzazione del possibile contributo della letteratura al dibattito in corso nelle varie società, da quelle capitalistiche alle postcoloniali. L’aspetto negativo può essere la sottovalutazione degli aspetti che caratterizzano comunque un’opera letteraria significativa e che aspiri a diventare duratura rispetto a quelle commerciali: il recente, enorme successo di Il codice da Vinci, che, prima ancora che un libro falso, è un libro brutto, sta a dimostrare quanto ancora il grande pubblico cerchi contenuti ‘stuzzicanti’, spesso senza tener alcun conto dei valori.
La buona critica, in tutte le sue forme (da quella accademica a quella militante a quella giornalistica e massmediatica), deve allora tornare a giudicare le opere letterarie nella loro interezza, cercando di far capire al più vasto numero di lettori (e quindi cominciando dalle scuole) quali possono essere appunto i valori più forti. Ecco quindi la necessità di recensioni non preconfenzionate (al limite anche stroncature, quando non si può fare altro), il più possibile libere dalle logiche editoriali, che vanno comprese e non demonizzate, ma in ogni caso mai passivamente accettate. In questa prospettiva, una buona alleanza fra posizioni militanti e metodo accademico dell’analisi sociologica e di quella stilistico-formale potrebbe dare risultati soddisfacenti, evitando sia i rischi dell’unilateralità – molto forti per esempio nelle tante scelte a favore della letteratura giovanile fatte negli ultimi anni -, sia quelli dell’ingessatura – per cui ancora si ripete che solo attraverso l’elaborazione plurilinguistica si può scrivere in Italia buona narrativa.
I valori vanno ormai cercati dove sono, indipendentemente dalle scelte di poetica e dalle autoproclamazioni degli autori. Ecco perché la saggistica più duttile riesce oggi a darci spesso ottimi risultati nell’individuazione delle nuove potenzialità e anche nella rilettura del passato: esemplare è stato un libro come Danubio di Claudio Magris, al quale sono seguiti vari testi saggistico-narrativi molto notevoli, come Campo del sangue di Eraldo Affinati, una delle più convincenti riletture del Lager fatta da uno scrittore che non è stato internato, ma che ha voluto comprendere quell’esperienza con una sua personale indagine, ritenendola comunque parte della sua esistenza. In questa come in molte altre opere, che tendono oggi a mescolare fiction e non-fiction, poesia sublime e autobiografia, saggio e narrazione, si coglie un primum etico piuttosto che estetico, tanto che si potrebbe affermare, parafrasando Montale, che uno stile autentico oggi si può distinguere, in mezzo a infinite espressioni di estetica diffusa, per la sua incisività anche morale, per il suo manifestare un significato che ci costringa a riflettere. Non si tratta di tornare a imporre contenuti specifici: si tratta, per la critica più valida, di verificare come la letteratura possa oggi, nelle sue modalità migliori, dare forma a una riflessione sull’etica possibile.