Sull’ispirazione poetica (e artistica)
Sull’argomento di questo articolo, segnalo i miei recenti volumi Poesia e ispirazione (Luca Sossella 2009) e Poetiche della creatività. Letteratura e scienze della mente (Bruno Mondadori 2011).
Parlare oggi di ispirazione poetica, o artistica in genere, è piuttosto démodé. Un’opinione diffusa è che non ne valga la pena, perché non si potrebbe mai riuscire a definire le caratteristiche di questo fenomeno, comunque misteriose. Un’altra è che l’ispirazione in quanto tale non esiste, mentre esiste l’ars, il lavorio meticoloso impiegato per creare un’opera originale. Sono opinioni che rimandano addirittura alle teorie platoniche e a quelle aristotelico-oraziane, riprese con infinite variazioni nel corso dei secoli. Ma adesso, davvero non si riesce a dire niente di diverso, dopo che la psicanalisi prima e da ultimo le discipline cognitive ci hanno aperto vie inedite per studiare i fondamenti delle varie arti (e anche, sebbene le cose non siano semplici, le possibili connessioni fra arti e scienze)?
Al di là delle attuali ‘neuromanie’, da tempo studiosi e artisti riconoscono che nell’elaborazione di un’opera, che non miri immediatamente a una fruizione pratica, agiscono componenti inconsce, non sottoposte alla logica razionale, e semmai orientate a ricostruire nuovi scenari dell’interiorità o del mondo esterno. Le gradazioni sono, com’è ovvio, molteplici, a seconda che sia veicolato un significato, come quando si usano le parole, oppure che il senso venga acquisito per associazione, come nella musica o nella pittura astratta. Ma è indubbio che sia proprio l’arte a consentirci di ‘ripescare’ aspetti della nostra biologia e della nostra esperienza che non sono ricomponibili in una sintassi o in una forma coerenti e perfette.
Per concentrarci sul caso della poesia, basterà pensare a quanti testi dall’epoca romantica in poi risultano grammaticalmente ambigui o addirittura oscuri: ma un componimento in apparenza incomprensibile di Novalis o di Hölderlin non ricade fra le strane aberrazioni proprio perché intuiamo che esso veicola un senso più profondo ed è il frutto di un processo cerebro-mentale (biologico ma anche culturale) che attinge alle componenti più arcaiche della nostra natura, per esempio operando in modo metaforico-sinestetico e/o ritmico-musicale. E non si tratta solo di attivare una presunta ‘funzione poetica’ del linguaggio, come voleva il grande linguista Roman Jakobson, bensì di giustificare una piccola o grande visione del mondo, che può puntare alla sinteticità dell’aforisma o alla discorsività della narrazione, ma in prima istanza nasce dall’ascolto del proprio inconscio cognitivo, in cui il bagaglio esperienziale di ciascuno si può rifondere per produrre un gesto artistico che diventa stile se trova una soluzione formale adeguata (e qui sta l’importanza decisiva della ‘tecnica’).
Non si deve però pensare a un nuovo positivismo. Il problema non è definire i processi fisici che generano la poesia e le arti (compito, semmai, degli scienziati puri), bensì coglierne le ricadute appunto stilistiche. Uno dei grandi compiti che potrebbe toccare alla nuova critica letteraria e artistica sarebbe quello di provare a capire quali possono essere le modalità creative che danno origine all’inventio, all’invenzione di metafore, sinestesie, insomma connessioni che non esistevano prima della nascita di una determinata opera: dopo aver visto Les demoiselles d’Avignon o aver sentito l’Eroica o aver letto La terra desolata la nostra percezione del mondo non può rimanere invariata, perché quelle opere lo hanno ‘riconfigurato’ in modi non pre-ordinati.
In questa prospettiva per molti autori moderni si troverebbero nuove chiavi di lettura. Ma anche i grandi classici possono essere reinterpretati, a cominciare da Dante. Il suo poema infatti non mirava a far confliggere codici linguistici eterogenei, bensì a ricondurre il reale alla sua essenza divina e ineffabile: e l’autore, che si sentiva ispirato da Dio, doveva disciplinare e aguzzare la sua mente per far sì che la radice ultima della realtà potesse venir espressa in forma di parole. Uno sforzo immane e sublime, al quale anche oggi, in modi nuovi ma analoghi, ogni vero poeta o artista sottopone la sua ispirazione.