I blog e la letteratura
Questo contributo è nato a partire da una discussione su “Nazione indiana” sulla funzione dei blog letterari
In prima istanza, quando avviene una rivoluzione di tipo tecnologico bisogna sforzarsi di focalizzare quali sono le potenzialità che vengono modificate. In questo caso le caratteristiche del web in rapporto alla diffusione e alla critica della letteratura sono chiare: un primo valore aggiunto è l’immediatezza delle proposte e delle reazioni; un secondo è la mancanza di una gerarchia prestabilita; un terzo è l’ampiezza dei possibili utenti.
Tutti questi aspetti modificano fortemente il circuito letterario così come era concepito almeno dalla diffusione massiccia della stampa. Intanto, la possibilità di pubblicazione era molto più controllata, e comunque soggetta a immediate discriminazioni (per esempio il prestigio dell’editore o della collana ecc.). Poi era evidente la mediazione del giudizio critico, che almeno sino agli anni Settanta consentiva non tanto un aumento delle vendite (fattore soggetto a troppe variabili), ma di sicuro l’inserimento o meno in un canone di autori interessanti, importanti, degni di entrare in una storia della letteratura ecc. Infine, l’interpretazione ‘autentica’ era riservata a critici di ampie competenze, spesso accademici (ma non sempre), e comunque portati molto più a collocare gli autori in una prospettiva di lunga durata che non a discutere questioni del tutto contingenti e semmai abbastanza casuali.
Io credo sinceramente che l’allargamento dello spazio letterario sia ormai un dato ineliminabile e del tutto congruo con una fase dell’espansione del sistema capitalistico che porta a una valutazione paritaria di opere nate in ogni parte del mondo, e di fatto a sostituire un criterio di successo pervasivo a uno di valore assoluto e, in una prospettiva umanistica, duraturo. Da questo punto di vista, le discussioni nei blog possono avere due valenze: quella di amplificare il successo immediato di un’opera, addirittura decretandolo contro gli insuccessi sanciti dalle case editrici o dai critici di professione; oppure quella, spesso molto più positiva, di sostenere opere che non hanno possibilità di avere un ampio pubblico attraverso la distribuzione del cartaceo, perché pubblicate da piccoli editori ecc.
Da queste premesse si può comprendere che il ruolo di internet è stato fondamentale per un rapido e secondo me profondo cambiamento dei valori in campo. Molti dei personaggi letterari più noti nella rete non vengono dal mondo accademico, svolgono spesso un’attività come giornalisti ma sono prima di tutto blogger, a volte non hanno al loro attivo pubblicazioni prima di diventare animatori di un sito (non distinguo fra le varie forme comunicative, perché a questo livello conta poco che si tratti di web generico, social networks o altro). In questi casi, la rapidità e la frequenza degli interventi, la nettezza delle idee esposte, magari la carica polemica sono molto più importanti rispetto a una rielaborazione critica. Spesso nei post prevalgono le discussioni su elementi parziali, magari non molto significative ma sostenute con forza o addirittura con risentimento, mentre la valutazione critica di fondo è piuttosto grezza, ‘mi piace-non mi piace’. Ancora più spesso, devo dire che l’effetto conclusivo di un post è quello evocato nel primo capitoletto dell’Uomo senza qualità: forse si tratta di un’arretratezza mentale perché ancora gli esseri umani, molto meno moderni delle loro tecnologie, tendono a preferire organizzazioni logiche risalenti alla filosofia greca al posto del caotico succedersi di affermazioni non ordinabili. D’altra parte è vero che, pur non potendo mai aspirare a una coerenza finale, i post sono spesso ricchi di singole suggestioni interessanti.
In questa situazione, penso che alcuni correttivi si debbano introdurre, senza credere, come fanno molti critici delle generazioni precedenti alla mia, ma anche molti più giovani, che si possa ancora arrivare a una gerarchia rigida dei valori letterari. Semmai, il problema è di argomentare molto meglio le posizioni che possono condurre a considerare certe opere più significative di altre. Per esempio, io ho apprezzato lo sforzo di sintesi che il gruppo dei Wu Ming ha voluto fare, riguardo alla sua ampia attività dentro e fuori della rete, quando ha discusso e poi pubblicato New italian epic: in questo modo, i motivi di consenso e quelli, per me più forti, di dissenso sono emersi con chiarezza. Però occorreva un punto fermo, che nasceva dal movimento caotico della rete e dei blog ma giungeva a una momentanea definizione. Troppo spesso invece nella rete si assiste al voltagabbanismo tipico (anche) di tanta critica militante italiana, che sostiene di volta in volta l’opera del momento, senza curarsi minimamente se è del tutto in contrasto con quella leader del giorno prima. In altri termini, nella rete è molto difficile definire valori duraturi: occorrono correttivi perché i valori davvero condivisi diventino valori criticamente stabiliti, e questa per me è ancora un’opera di lunga durata, irriducibile al fast-blog.
La rete insomma sembra portare le opere letterarie e le riflessioni critiche a una condizione di parità apparente, mentre invece crea nuovi tipi di ‘rendita di posizione’. La visibilità è garantita solo in teoria: in realtà, la frantumazione, la dispersione, la fugacità la rendono molto più bassa di quello che si potrebbe supporre. Soprattutto, la democraticità delle scelte non è affatto tale: nel momento in cui si deve decretare un’eventuale opera di successo, contano ancora una volta criteri quantitativi (a cominciare dalla frequenza delle apparizioni in rete dell’autore) e non qualitativi. La progettualità in rete è larga e deve essere sempre esaminata: tuttavia, un fattore fondamentale come quello della coerenza del progetto letterario o dell’esame critico è spesso del tutto ininfluente in questo ambito.
Io credo molto nei tentativi di creare spazi di presentazione, discussione e valutazione che siano dentro la rete ma non dipendenti dalla rete. Ci credo, e per questo contribuisco a iniziative come le Classifiche e il premio pordenonelegge-Dedalus, pur nella consapevolezza che si tratta di strumenti perfettibili, come tutti quelli umani. Però credo anche che, senza una riflessione seria esterna alla rete, non si riescano a ottenere risultati davvero significativi negli sviluppi della nostra letteratura e della nostra critica.
Gramscianamente indispensabile è per esempio il lavoro nelle scuole e nell’università, per creare consapevolezze molto più forti riguardo ai valori e disvalori nella letteratura contemporanea: tutto ciò implica un lavoro preventivo rispetto alle discussioni nei blog. Occorrerebbe poi un ambito di discussione meno entropico, benché sempre aperto alle suggestioni di chi vuole seriamente partecipare: una nuova comunità critica deve poter accogliere input da chiunque, senza che chiunque pensi di sostenere posizioni dominanti per mere ragioni quantitative (io sono più presente, dunque sono). Il consenso dovrebbe avvenire su proposte critiche meditate, attente agli sviluppi delle scienze e della filosofia contemporanee, possibilmente basate su analisi concrete e anche su un ripensamento continuo di ciò che andiamo a cercare in un’opera letteraria.
Non a caso la rete non riesce a far sviluppare una teoria della letteratura, mentre genera e sostiene singole poetiche. Ma sui fondamenti del nostro sapere letterario ci sarebbe molto di più da fare che non ripetere schemi interpretativi ormai usurati: interrogarsi su questioni di fondo è oggi ancor più essenziale che nei favolosi anni Sessanta, perché in effetti dall’enorme discussione nella rete paradossalmente non emerge il nuovo-nuovo, bensì il nuovo-condizionato. Solo rilanciando la riflessione su temi forti si può sperare di trovare una forma di sintesi più alta, che tenga conto del fruttuoso caos della rete senza essere caotica. La nuova critica avrà bisogno di ampiezza, velocità, connettività… però messe in atto in opere che non devono risultare la fotocopia dei blog attuali, bensì la loro reinterpretazione sulla base di un’idea di letteratura che permetta di collocarla, come direbbe Wallace Stevens, nel centro esatto della nostra cultura. Andrebbe cioè compiuto uno sforzo che permetta di superare gli stereotipi dell’inesperienza, gli idealismi astratti e gli astratti furori, spesso dominanti nel web (nonché, è vero, in qualche libro recente).